Un articolo su Rassa (Valsesia) e sulla Val Sorba, con il percorso ricco di storia che porta dove fioriscono le peonie…
Rassa è un comune di circa 70 abitanti che comprende 5 “cantoni”. Sorge a 920 m s.l.m. sulla destra orografica del Fiume Sesia, più o meno a 24 km da Varallo. Ma perché mai – viene da chiedersi arrivando nei pressi dell’abitato – la Val Sorba è definita “La Valle dei Tremendi?”
Sarà perché il capoluogo si affaccia sulle sponde della Gronda e della Sorba e deve fare i conti con i capricci dei due torrenti? O sarà forse perché tra il 1305 e il 1306 Fra’ Dolcino e una parte dei suoi seguaci, benché braccati dalle truppe del vescovo di Vercelli, sopravvissero per qualche tempo proprio da quelle parti acquartierandosi sulla Parete Calva? Da quel rifugio quasi inaccessibile ma poco ospitale raggiunsero infine la Valsessera e si attestarono sul Monte Rubello. Catturati, finirono sul rogo.
E se invece l’appellativo fosse dovuto alla presenza in valle del bandito Pietro Bangher? Classe 1850 ed originario del Trentino austro-ungarico, negli anni a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento il Bangher vagava sulle montagne attorno a Rassa in quanto da lassù poteva spostarsi abbastanza agevolmente tra la Valsesia e la Valsessera. Gli vennero attribuiti furti, stupri e fattacci di ogni genere per cui, dopo aver scontato alcuni anni di carcere, fu infine rispedito al suo Paese d’origine. Chissà come, durante la prima guerra mondiale fece però ritorno in Valsesia. Gli vennero attribuite nuove malefatte ma era ormai provato dalla vita selvaggia e dagli anni passate in carcere. La sua fine rimane avvolta nel mistero.
Nonostante i richiami all’eretico e al brigante, la domanda su come la Val Sorba sia diventata la “Valle dei Tremendi” rimane ancora aperta. Dopo averla visitata, viene però da pensare che il nome sia dovuto soprattutto alla tenacia e alla laboriosità dei suoi abitanti che – dovendo fare i conti con le scarse risorse della montagna – seppero tuttavia prosperare sfruttando le risorse dell’acqua, dei boschi, dei pascoli e del sottosuolo.
Alla domanda sui “Tremendi” non siamo in grado di dare una riposta certa, ma possiamo raccontare delle peonie e di come le abbiamo raggiunte. Ecco dunque alcuni particolari di un cartello riferito ai tracciati che fiancheggiano il torrente Sorba: partendo da Rassa per raggiungere l’Alpe Massucco, il primo tratto è carrabile ma a circolazione limitata. Lasciata la strada, si raggiunge a piedi l’Alpe Campello, si passa per l’Alpe Sorba e si prosegue quindi fino alla zona dell’Alpe Massucco. Lassù, su una pietraia, prosperano le stupende peonie selvatiche cui già si è accennato, unico caso sinora conosciuto in tutta la Valsesia. Il luogo – una sorta di paradiso dei botanici – presenta altre rare specie vegetali nonché giacimenti di varia natura: vi si trovava ad esempio una cava di pregiato marmo bianco, in verità poco sfruttata vista la difficoltà di trasportare i blocchi fino al fondovalle.
Da Rassa all’Alpe Massucco, la camminata
Organizzata dall’Associazione “Supervulcano della Valsesia” la camminata da Rassa all’Alpe Mazzucco si è concretizzata il giorno 22 giugno. Il tempo incerto e la presenza di residui di slavine avevano rimandato la spedizione di ben due settimane: in effetti il tracciato di norma è agevole, ma durante quest’ultimo inverno le nevicate erano state più abbondanti del solito e, oltre a qualche albero divelto, si correva il rischio di trovare le peonie appena in boccio. Le uscite con l’Associazione hanno sempre precisi scopi informativi: ad illustrare ciò che si apriva davanti ai nostri occhi c’erano Mario Soster ed Edoardo Dellarole, il primo noto per le sue pubblicazioni sulla flora valsesiana, il secondo forte della sua esperienza di ingegnere minerario. Altri invece… tenevano d’occhio la comitiva, cercavano di compattarla e si preoccupavano dei ritardi dovuti agli immancabili “fuori pista fotografici” ai quali – visto il fascino del paesaggio – sarebbe stato un imperdonabile peccato mortale rinunciare.
Detto questo, lasciamo che le immagini illustrino il percorso…
L’Alpe Campello, m 1093
Da Rassa, percorrendo una strada destinata ai mezzi agricoli e di soccorso si raggiunge la località dei parcheggi: sono riservati ai soli residenti e ad altre categorie di “aventi diritto”. Lasciata la strada sterrata si imbocca una agevole e ben curata mulattiera: sulla sinistra tra gli alberi si intravedono le gole scavate dal torrente Sorba. A destra i fianchi della montagna – caratterizzati qua e là da pietraie e ripide pareti – sono coperti di boschi intervallati da radure. In una ventina di minuti si raggiunge l’Alpe Campello, dove la mano dell’uomo disciplina la natura. A fianco della baita attrezzata a posto di ristoro un ordinato orticello conferma che la laboriosità dei Tremendi è ancora viva e che la passione per la terra dà come sempre ottimi risultati. Accanto all’orto recintato, lo spiazzo antistante la baita è ben curato ed attrezzato con tavoli e sedie. Per non parlare della cordialità della titolare dell’esercizio e delle sue quasi-irresistibili preparazioni culinarie… diciamo solo che una breve sosta permette di godere almeno dell’acqua fresca della fontana.
Dall’Alpe Campello, proseguendo lunga la mulattiera che fiancheggia il torrente, si arriva all’Alpe Sorba. Si prosegue poi attraverso faggete intervallate da pascoli, tra i resti delle “carbonere” e dei forni in cui si “cuocevano” le rocce calcaree per ricavarne la calce.
Nelle radure soleggiate e sui suoli umidi le eleganti orchidee alpine sono in piena fioritura e mostrano i loro fiori rosati raggruppati su un lungo stelo. Accanto, crescono rigogliose le felci e – tra le rocce – i rari esemplari della Cryptogramma crispa, una felce di modeste dimensioni nota per le fronde fertili centrali, verde-giallastre e le fronde sterili esterne, di colore verde vivo. Tra le erbe e gli arbusti spicca il fiore delicato della Rosa glauca: si differenzia dalla ben più comune Rosa canina per il fogliame verde-azzurro.
Tra gli altri arbusti che colorano le radure e i pascoli troviamo i rododendri già in fiore: vivono quasi a contatto con le rocce dalle quali ricavano calore e protezione.
Alpe Sorba e dintorni
All’Alpe Sorba troviamo graziose baite: alcune già ristrutturate, altre in fase di ristrutturazione. Tutto attorno, prati fioriti in cui le mucche possono pascolare tranquillamente…
Carbonere e pozzi per la calce
Lasciato l’alpeggio si rientra nel bosco dove rimangono le testimonianze di alcune delle antiche fonti di sostentamento dei valligiani: le “carbonere” ed i resti dei forni della calce.
La “carbonera” era il luogo in cui la legna veniva trasformata in carbone. I carbonai, detti in dialetto “carbunin”, predisponevano una piazzuola sulla quale, formando una sorta di cono, accatastavano tronchetti di legno in verticale. La parte centrale doveva fungere da camino e restava perciò sgombra: in questo modo all’interno della massa conica veniva a crearsi una apertura cilindrica circondata da pezzi di legno ben stipati, a volte rivestiti di zolle umide per ostacolare il passaggio dell’aria. Tutto intorno, il cumulo era ricoperto di rami, di foglie, di terriccio: per evitare combustioni troppo rapide era infatti necessario isolare la legna dall’aria. Seguiva l’accensione della massa da trasformare in carbone: i carbonai infilavano delle braci nel camino interno della “carbonera” poi – ma solo se necessario – praticavano alcuni “fori di respiro” per favorire l’avvio della combustione controllata. La “carbonera” era alimentata giorno e notte con pezzetti di legno infilati direttamente dal camino: le si “dava da mangiare”, raccontano i carbunin. Ciò continuava finché il fumo, diventato di colore azzurro tenue, avvertiva che il carbone era finalmente pronto. A questo punto si doveva raffreddare il tutto, spesso soffocando le braci con acqua e terriccio. Liberato dalle scorie e ripulito dai residui della combustione, il carbone era finalmente pronto per raggiungere il fondovalle.
Le rocce contenenti carbonati di calcio ed i marmi presenti in Val Sorba hanno consentito anche la produzione di calce. Fin dal Millecinquecento, dopo la frantumazione venivano sistemati in pozzi e riscaldati a fortissime temperature per consentire il processo chimico che trasforma il carbonato di calcio in ossido di calcio o calce viva. Oggi i forni in uso nei tempi remoti, in parte restaurati, sono i testimoni silenziosi di come i montanari utilizzassero ogni risorsa.
Poco oltre gli antichi forni da calce si può ammirare una delle tante cascate che caratterizzano il corso tumultuoso del torrente Sorba. Si prosegue quindi attraversando altre radure ricche di felci fino a giungere dopo poco al pascolo dell’Alpe Dosso.
Verso l’Alpe Massucco
Lungo il percorso per l’Alpe Massucco troviamo le tracce che testimoniano la potenza degli antichi ghiacciai: qua e là rimangono i massi erratici e tra i pascoli affiorano le rocce montonate, levigate dal passaggio del fiume gelato che modellò la valle scavandone il profilo ad U, ora solcato dalle gole profonde formate dalle acque selvagge dei torrenti. Prima di arrivare alle agognate peonie non resta che superare due tratti di versante coperti dai resti delle slavine cadute durante l’inverno…
Le peonie
Per raggiungere la colonia di peonie occorre risalire una pietraia pittosto ripida ma abbastanza stabile…
Dal sentiero, il rosso delle peonie appariva lontano e spiccava tra il bianco dei blocchetti di marmo e i mille colori delle pietre franate dai fianchi della montagna.
Nel risalire lungo la pietraia, fiori e rocce esercitavano il loro fascino ma – a metà costa – il tempo si è rivelato ancora una volta tiranno: fotografare le rocce, le peonie e cercare di documentare con cura anche la presenza di una colonia di piccoli iris blu come il cielo avrebbe richiesto un tempo ben maggiore. In effetti i gesti di chi, dal sentiero, invitava a ridiscendere non potevano essere ignorati più di tanto e… di conseguenza non si sono fotografate alcune specie interessanti. Tra queste un salicone basso e contorto che per certo – tra quelle rocce solo apparentemente inospitali – se l’era cavata per un buon numero di anni. E che dire degli animaletti di cui di tanto in tanto sembrava di avvertire il ronzio, o che facevano capolino tra le pietre? Lucertole vivipare? Tutto è possibile, ma forse si trattava solo di un’impressione, o di una speranza. Da verificare al prossimo giro, ovviamente.
Daniela De Ambrosis, Franco Gray (all’anagrafe Franco Bertola) – Foto degli autori
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