Domenica 20 ottobre 2013 in Valsessera cadeva una pioggerella sottile. Sugli alberi le foglie – alcune ancora verdi, altre rosso dorate – erano rivestite di minuscole goccioline. Si era sulle alture, e dal basso saliva lenta una bruma leggera che creava la giusta atmosfera per fare un tuffo nel passato. Nel primo pomeriggio, al Museo Laboratorio di Mezzana Mortigliengo, si ritornava indietro negli anni e si mostrava come i nostri nonni producevano l’olio di noci, il sidro e l’aceto di mele…
Un museo-laboratorio
Nel comune di Mezzana Mortigliengo – frazione Mino – in un antico edificio in legno e pietra troviamo un Museo Laboratorio che fa parte della rete degli Ecomusei del Biellese. La costruzione si trova nella piazzetta della frazione ed è caratterizzata da una rigogliosa pianta di vite che sale fino al sottotetto incorniciando un ballatoio impreziosito da vasi di rossi gerani.
Il museo
Ai piani superiori del Museo troviamo un essiccatoio di castagne, parecchi manufatti di canapa, strumenti utilizzati in passato e alcuni arredi. al piano terreno è invece esposta l’attrezzatura per ottenere l’olio di noci: qui alcuni volontari hanno illustrato le tappe dell’antico procedimento con cui si produceva il fragrante e prezioso condimento.
DALLE NOCI ALL’OLIO
Dice un antico proverbio: “Scovi nos e masè gent… tucc lavor inutilment”: in effetti… le persone muoiono e le noci cadono da sole. La lor caduta dagli alberi però spesso viene accelerata con l’uso di una lunga pertica. Subito dopo la raccolta, le noci vanno poste ad asciugare e vengono mondate dai residui del mallo.
Per ricavare l’olio dalle noci occorre poi rompere il guscio per levare il gheriglio, e un tempo ciò avveniva a mano, spesso nella stalla o nelle grandi cucine tradizionali, in compagnia e al suono delle vecchie storie e dei nuovi pettegolezzi che contribuivano ad alleggerire la fatica ripetitiva di una attività che richiedeva molta pazienza.
Mondati dal guscio, i gherigli si mettono quindi nel frantoio per essere macinati, e ciò è quanto è stato illustrato dai volontari dell’ecomuseo. Girando una manovella la macina ruota, frantuma i gherigli e pian piano si forma una pasta sottile, densa e di un bel colore nocciola.
Intanto, in una sorta di stufa di mattoni, sotto la “cassarola” si accende il fuoco:
al museo si sono utilizzati i “sarmenti”, ovvero i lunghi tralci delle viti potate nell’autunno dell’anno precedente e conservati all’asciutto. Quando nella vasca del frantoio la pasta è schiacciata al punto giusto, la si raccoglie con delle palette di legno o di ferro e la si trasferisce nella “cassarola”. Durante l’operazione di riscaldamento occorre tenere presente che, per una buona riuscita del prodotto, la temperatura non deve superare i 60 gradi.
Mentre l’amalgama si scalda e viene girato con un lungo mestolo di legno, tutto attorno il suo gradevole profumo rallegra le narici e c’è già chi immagina l’olio sul pane appena tostato, o chi ricorda ricette antiche quasi quanto il tempo.
Intanto, tra uno sbuffo di fumo e un ricordo, la pasta raggiunge la giusta temperatura: raccolta e sistemata in un cilindro di legno bucherellato e rivestito di iuta finisce sotto la pressa del torchio.
Azionata a forza di braccia, un’enorme vite abbassa un pistone, che, gravando sull’impasto, consente la spremitura del prezioso olio.
Raccolto in un contenitore, il liquido appena spremuto è ancora torbido, ma già gustoso e profumato…sarà però lasciato decantare, e presto acquisirà la sua naturale limpidezza.
Per aumentare la resa si ripete un’altra volta tutto il procedimento, ma – a detta dei palati più raffinati – l’olio della seconda passata è meno fragrante di quello di prima spremitura. Con i due procedimenti, da sei chilogrammi di noci si ricava circa un litro d’olio. Con la caduta delle ultime gocce il processo può dirsi concluso, o quasi. Svitato il perno della pressa e levato il cilindro, nella iuta rimane un disco compatto di pasta di noci: il “nosuggio”.
Il nosuggio – Si tratta di un sottoprodotto croccante; un semplice assaggio accende la fantasia di chi ama le antiche ricette: il nosuggio è infatti utilizzato sia per insaporire il pane che per produrre i dolci della tradizione.
Oggi a Mezzana pochissime persone si dedicano alla produzione dell’olio di noci e il poco che ancora circola è destinato esclusivamente al consumo famigliare. A causa della mancata cura del territorio è infatti sempre più difficile coltivare le piante da frutto: i prati spesso non sono più falciati, i pascoli sono sempre meno utilizzati e il terreno intorno agli ultimi maestosi alberi di noce è fitto di rovi e di infestanti che tendono a soffocarli. La vicinanza di alberi selvatici inoltre proietta coni d’ombra sulle colture e, di conseguenza, abbondano le malattie che rovinano i frutti. E’ un vero peccato perché l’olio di noci arricchisce ed impreziosisce molti piatti; per citarne uno – il prediletto di un anziano da noi intervistato tempo fa – basterà ricordare il merluzzo fritto nell’olio di noci insieme alle cipolle.
“Le Falispe” (foto Franco Gray, testo ed impaginazione Daniela De Ambrosis)
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