Questo articolo parla della Bassa Valsesia: siamo a Serravalle Sesia (VC) in Frazione Bornate. Pubblicato nell’agosto del 2013, il testo (in parte aggiornato) ricorda alcuni interventi che – nel secolo scorso – portarono al recupero di vaste aree boschive degradate. Lo scopo: fornire esempi positivi. L’argomento fa da “apripista” a una serie di articoli (ricerche in corso di realizzazione…) sulle conseguenze dei disastrosi incendi che, iniziati alla fine del marzo 2019, scoppiarono nelle Valli della Bassa Valsesia e del Biellese (Alto Piemonte). Dalle lezioni del passato, in effetti, possono venire validi esempi per affrontare i problemi recenti…
Tra feste popolari, vicende di paese e di recupero ambientale: una carrellata sulle vicende che videro la realizzazione di una lunga pista tagliafuoco e il restauro di due costruzioni sacre sul una collina spesso funestata dagli incendi e dal degrado del bosco.
Bornate, un tempo comune indipendente, con il Regio Decreto del 1927 diventò la frazione più a Nord di Serravalle Sesia.[1] La storia di Bornate ha origini antiche: la chiesa di Santa Maria risale probabilmente al IX secolo e, sulle alture che guardano a ponente, si trovano dei ruderi attribuibili a un antico castello avvolti da «ombre di mistero».[2] Inoltre, nei boschi a Nord-Ovest dell’abitato, sorgono “Cappella Capun” e il già citato oratorio di San Bernardo. Si tratta di due costruzioni sacre care a diverse generazioni che, proprio perché celate tra i boschi e quasi sconosciute a chi viene da fuori, meritano un po’ di attenzione. L’articolo tratta inoltre della agevole pista tagliafuoco e della sua realizzazione: in effetti un tempo il bosco era segnato solo da modesti sentieri non più percorsi per lavoro, ma solo per svago o per la ricerca dei funghi.
Nella fotocomposizione in alto: immagini relative al tracciato che, da Bornate, porta all’oratorio di San Bernardo. Usciti dall’abitato, il percorso passa nei pressi di un invaso di recente costruzione. Lasciata la zona pianeggiante, una pista tagliafuoco si inerpica tra boschi e calanchi fino a “Capela Capun”: da lì prosegue fino all’oratorio che sorge sulla sommità della collina.
Storia di una festa ritrovata…
Di san Bernardo si trovano i segni non solo sulle montagne più alte, o nei passi alpini resi famosi dai frati e dai loro celebri cani: questa storia si svolge infatti nella Bassa Valsesia a quote che non superano i 650 metri sul livello del mare, alberi compresi. Il racconto – in verità un po’ romanzato per quanto riguarda i personaggi – richiama alla mente i tempi difficili del secondo Dopoguerra, il cosiddetto “Miracolo Economico” e le tradizioni popolari della Frazione Bornate del Comune di Serravalle Sesia. La narrazione vuole ricordare, in particolare, come fu ripristinata una festa senza tempo che tuttora continua a ripetersi: la festa di San Bernardo, nell’oratorio che sorge sul colle più alto di quella comunità.
Sulla collina di San Bernardo…
A ponente dell’abitato di Bornate, una lunga pista tagliafuoco porta a una remota cappella nota come Capela Capun e all’oratorio di San Bernardo. Cappella Capun è un grazioso luogo della fede che sorge a 500 metri di altitudine tra i boschi e i calanchi, nei pressi di una sorgente. Nella Storia del Comune di Serravalle Sesia si legge che la cappella fu fatta erigere dal serravallese Giacomo Berteletti nei pressi dell’antico confine che, un tempo, separava il territorio del comune di Serravalle da quello di Bornate e che fu benedetta Il 21 agosto 1860.[3]
Sulla sommità dello stesso colle – a 626 metri sul livello del mare – sorge l’oratorio di San Bernardo, un altro luogo sacro che, dalla cappella, può essere raggiunto in meno di mezz’ora di tranquillo cammino. Di questa remota costruzione si scrisse che, vista la grande venerazione delle vicine popolazioni per San Bernardo da Mentone, «anche Bornate non volle essere ultimo nella divozione a questo santo dei monti, affinché la sua protezione avesse ad estendersi, oltreché sulle persone in pericolo nei lavori su pei dirupi, anche sulle campagne sottostanti» e i bornatesi «restassero al sicuro da ogni grandine».[4]
L’oratorio di San Bernardo fu dunque edificato per proteggere i raccolti: ce n’era veramente bisogno in quanto la zona è nota da sempre per le grandinate primaverili e per la violenza dei temporali estivi. Nonostante l’inclemenza del clima e la natura accidentata delle colline, tuttavia, nella difficile realtà economica degli anni del secondo Dopoguerra a Bornate le tradizioni contadine non erano state dimenticate e una larga parte della popolazione, oltre a coltivare un po’ di terra, allevava qualche animale da cortile.[5] Memori delle antiche usanze, nell’oratorio si officiavano almeno due funzioni religiose l’anno: la prima in occasione della festa di San Rocco, la seconda il 16 di agosto. Le celebrazioni erano un’occasione di divertimento per tutti in quanto, dopo la cerimonia religiosa, si mangiava quanto portato da casa, si suonava e si ballava sul sagrato dell’oratorio: credenti, agnostici e atei si ritrovavano dunque sulla sommità del colle per fare festa senza pensare alle scomuniche che – stando ai beghini del tempo – parecchia gente avrebbe meritato.
Il “Miracolo Economico” e le sue conseguenze
Gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, com’è noto, videro l’introduzione di nuovi stili di vita, di nuove tecnologie e, negli anni di crescita frenetica e incontrollata del Miracolo Economico, le tradizioni legate al territorio e al mondo contadino anche a Bornate furono abbandonate. Dimenticate le feste legate ai riti propiziatori e del ringraziamento, tanto a Capella Capun che sul remoto oratorio di San Bernardo cadde l’oblio. Tra la gente che inseguiva il mito della modernità il rispetto per l’ambiente naturale (se mai, in passato, c’era stato) passò decisamente in secondo ordine e l’aumento dei consumi portò alla formazione di discariche in ogni dove. Il problema dei rifiuti andava così a sommarsi a quello della distruzione della fauna autoctona: i rapaci, ad esempio, erano considerati nocivi ed erano uccisi persino dai guardiacaccia. Ancora negli anni Sessanta, le volpi erano abbattute per la loro spiccata propensione a visitare i pollai e, per la loro cattura, erano previsti dei «premi-compenso».[6] Se alla caccia legalmente autorizzata aggiungiamo il disinteresse, il bracconaggio, la raccolta indiscriminata dei prodotti spontanei e il fuoco, il quadro appare desolante: a quei tempi, i pochi volenterosi che cercavano di spegnere gli incendi boschivi erano privi di idonee attrezzature e si arrangiavano alla meno peggio. L’abbandono del territorio collinare, però, finì per creare seri problemi anche nel fondovalle: il rio che attraversa Bornate, infatti, durante le piogge provocava allagamenti e una parte dell’abitato si trovava con l’acqua alta ai piani inferiori delle case, quasi come succede oggigiorno nella ben più nota Venezia.
Forse a causa della difficile situazione ambientale, forse per nostalgia delle tradizioni frettolosamente accantonate, in paese vi fu una rinascita di interesse sia per le remote costruzioni sacre delle colline che per l’ambiente naturale: sul finire degli anni Settanta nella frazione sorse infatti un “Comitato” che aveva lo scopo preciso di restaurare l’oratorio di San Bernardo e di recuperare il territorio boschivo, ormai completamente abbandonato al proprio destino.
Quando il Comitato uscì allo scoperto e si rivolse alla popolazione, le risposte furono eterogenee e – come spesso tutt’oggi accade – alle parole per un po’ di tempo non seguirono iniziative concrete. Mentre la gente pensava, le costruzioni sulle collina pativano i danni del maltempo per cui, per sensibilizzare la popolazione, nel giugno del 1979 si tenne una prima festa conviviale sulla sommità del colle: al tremine di una cerimonia religiosa, negli spazi antistanti l’oratorio si organizzò un neppur frugale banchetto con quanto, dal fondovalle, era stato trasportato fin lassù dentro le gerle caricate sulle spalle di alcuni robusti volontari. L’evento, promosso da un gruppo di genitori del Comitato e appoggiato dagli insegnanti delle locali scuole elementari, vide la partecipazione di tre generazioni ed ebbe un successo insperato. In quell’occasione – oltre ad ascoltare i racconti dei più anziani – i partecipanti presero atto che i boschi erano in agonia e che l’oratorio necessitava di riparazioni urgenti. In breve: era arrivato il momento di fare veramente qualcosa, pena la perdita di un luogo caro alle antiche tradizioni locali.
Il recupero dell’oratorio
Il primo intervento – deciso a San Bernardo in quella tranquilla domenica di giugno – prevedeva almeno la riparazione del tetto dell’oratorio, con il cambio di alcune travi e la sostituzione dei coppi danneggiati. Per trasportarvi il materiale necessario fu perciò pianificata la costruzione di una teleferica che collegasse la sommità del colle con la periferia di Bornate: si era ai tempi del fai da te e… ciò che non c’era si poteva inventare. L’impresa prevedeva la posa di un cavo della lunghezza di circa 800 metri e l’operazione richiedeva una notevole dose di esperienza: seguendo i consigli di un anziano montanaro, una pesante bobina di filo d’acciaio fu suddivisa in rotoli di modeste dimensioni che alcuni volontari – formando una lunga catena umana – trasportarono a spalle fino alla sommità della collina seguendo una direttrice il più possibile in linea retta. Quando il capo della bobina raggiunse finalmente il pianoro dell’oratorio fu saldamente agganciato alle rocce e agli alberi e, dopo varie peripezie, il lungo filo fu “teso come la corda di un violino”. Posata la teleferica, pur tra qualche polemica iniziarono i lavori all’oratorio. Gli interventi si svolsero per lo più durante le ferie estive e andarono oltre le più rosee aspettative: si pensava di cambiare parte della copertura e invece si rifece completamente il tetto, si recuperò il patio e si sistemarono anche le crepe dei muri. Terminata l’impresa si ripristinò la tradizionale festa del 16 agosto, con la celebrazione della messa all’aperto e l’organizzazione di un sontuoso banchetto. I viveri, quella volta, arrivarono a San Bernardo nel carrello della teleferica.
Una giornata memorabile
A San Bernardo, la giornata del 16 agosto 1981 – a detta di chi l’ha vissuta – fu sorprendente. Il primo fatto straordinario avvenne già al mattino presto in seno a una piccola comitiva che arrancava per raggiungere la sommità della collina. Proprio nel pianoro di Cappella Capun il figlioletto di un noto cercatori di funghi lasciò il sentiero per soddisfare un bisogno fisiologico. Sparì dietro una ceppaia di castagno e, quando riapparve, teneva in mano un grosso porcino “bianco e sodo”. Immediatamente tutti i presenti si precipitarono nella macchia circostante, ma ne uscirono a mani vuote. Un tizio che si era messo a smuovere le foglie con un ramo si ritrovò con le scarpe sporche di escrementi umani e se la prese con il padre del ragazzino: “… che prove hai che questa è la cacca di mio figlio – chiese l’uomo inviperito per il fatto che quel gentiluomo un po’ puzzolente aveva cercato di smuovere le foglie – potrebbe essere stato qualcuno del gruppo che è passato prima di noi, no?” Subito dopo, poiché il puzzone continuava a reclamare, gli ricordò una buona regola che, a quei tempi, solo i veri fungiat mettevano in pratica: “Così impari a rumare! Non sai che non bisogna rovinare il letto dei funghi? Ti sta bene!”, gli gridò con quanto fiato aveva in gola, rosso in viso come un tacchino. L’anno dopo, finalmente, usciva la Legge Regionale 32/82 e, per quanto riguarda la raccolta dei funghi, l’uso di attrezzi per smuovere le foglie fu finalmente vietato.
Torniamo al 16 agosto 1981. All’oratorio, in quella memorabile mattinata la statua di San Bernardo che trattiene il diavolo incatenato era già stata trasportata all’esterno su un improvvisato altare allestito sotto il patio rimesso a nuovo. Se il demonio se ne stava tranquillo, non altrettanto avveniva per i membri del gruppo “Amici di San Bernardo”: infatti mentre il prete celebrava la messa nelle pentole avevano messo a cuocere ogni ben di Dio. Durante il pranzo, dagli zaini uscirono pure dei salami casarecci e qualche bottiglia di vino generoso. Un uomo già avanti negli anni dopo aver apprezzato i salumi fu costretto a rivolgere tutte le sue attenzioni al contenuto delle bottiglie perché “… i salami erano buoni – avrebbe detto qualche giorno più tardi – ma erano un po’ salati e… lassù in cima mi era venuta una sete tale che mi bruciava l’anima”.
Se il pranzo fu delizioso, il pomeriggio si rivelò ricco di sorprese. Dopo tanti anni di oblio, al suono della fisarmonica e delle chitarre si aggiunsero i canti arrivati lassù dalle altre parti d’Italia: l’era della Globalizzazione non era ancora incominciata ma, nella cultura dei bornatesi l’Unità d’Italia poteva dirsi un fatto ormai compiuto. Persino la fauna locale, quel pomeriggio, ottenne qualche riconoscimento. Giocando tra i cespugli, alcuni ragazzini che avevano scovato un innocua vermosina la presentarono ai convitati e pure una signora che aveva una paura folle dei rettili arrivò a sfiorarla con la punta delle dita. L’animale fu poi liberato lontano dall’oratorio: si trattava di un orbettino, un sauro che da allora molta gente non guarda più con diffidenza. Sul rientro serale ci sarebbero molte cose da raccontare: un signore, ad esempio, perse l’equilibrio e corse il rischio di finire in fondo a una scarpata, ma fu fermato da un provvidenziale cespuglio e, per calmare la sete, verso Cappella Capun andò a bere nel ruscello. Già che c’era, vi immerse anche le mani e il capo. I maligni dissero che – finalmente! – quel galantuomo aveva imparato ad apprezzare l’acqua fresca e pura.
Nei giorni a venire, in paese le polemiche che avevano accompagnato la posa della teleferica e i lavori all’oratorio cessarono come d’incanto: scoppiò la concordia e i soliti arruffapopolo si trovarono improvvisamente spiazzati. Da allora, la festa si ripete ogni anno e qualcuno, forse con un po’ di presunzione, sostiene che – per quanto riguarda la tutela e la valorizzazione delle risorse naturali e dei beni culturali di Bornate – il futuro cominciò a San Bernardo.
Nuove iniziative
Gli anni Settanta e Ottanta del Novecento in Valsesia videro l’affermarsi di una sorta di “presa di coscienza ecologista” e, insieme alla valorizzazione dei diversi aspetti della flora e della fauna, vi fu anche la riscoperta delle consuetudini locali. Un articolo pubblicato sul Corriere Valsesiano, ad esempio, nel condannare l’uccisione dei rettili innocui ne illustrava il ruolo ecologico.[7] Anche l’amministrazione comunale fece la sua parte e, presso il centro sociale del capoluogo, organizzò specifiche serate sui temi ambientali. In quegli anni nacque pure un gruppo locale del “Corpo Volontari Antincendi Boschivi del Piemonte”, meglio noto come AIB e si attuarono specifici “Progetti Ambiente” pluriennali che videro coinvolte scuole, associazioni ed enti diversi.[8] A Bornate, l’interesse per il territorio sfociò nella realizzazione di una pista tagliafuoco che tuttora collega l’oratorio al paese e nella soluzione dei problemi di Capella Capun.
Capella Capun
Sistemato l’oratorio sulla sommità della collina, restava aperto il problema di Capella Capun: la costruzione si trovava infatti in condizioni alquanto precarie. Dopo varie vicissitudini, grazie all’intervento dei volontari della squadra AIB, del gruppo “Amici di San Bernardo” e del “Comitato Benefico Bornatese”, fu possibile raggiungere la costruzione con i mezzi fuoristrada.[9] L’intervento vide delle polemiche e – non so perché – cadde la testa del coordinatore del Gruppo Antincendi Boschivi. Nonostante ciò, varie organizzazioni seppero portare avanti le aspettative di recupero ambientale e la cappella fu infine risanata. In seguito la pista proseguì fino alla sommità del colle e, grazie agli interventi di tutela del patrimonio boschivo, oggi gli incendi sono solo un brutto ricordo. Dopo la realizzazione del tracciato la “gloriosa teleferica” fu smantellata: non so dove i vari pezzi siano attualmente custoditi ma, a mio parere, meriterebbero di finire in un museo del folklore, o della creatività contadina di un tempo.
Testo e foto: Franco Gray (All’anagrafe: Franco Bertola)
Le foto d’epoca in bianco e nero sono state gentilmente concesse dalla popolazione di Bornate.
[9] Tra le informazioni apparse sui fogli locali, Il Corriere Valsesiano del 22 ottobre 1993 pare costituire un punto di riferimento cronologicamente importante in quanto – essendo ormai possibile raggiungere Capèla Capun con i mezzi a quattro ruote motrici – riferisce degli interventi programmatici di alcuni gruppi di volontariato.
Aggiornamenti
Gli incendi del 2019 – Alla fine del mese di marzo del 2019 sulle colline della Valsesia e della Valsessera scoppiarono furiosi incendi che bruciarono qualcosa come 2200 ettari di boschi (fonti giornalistiche) – Il fuoco divampò per nove giorni e vide l’opera di volontari e di mezzi aerei: fu infine spento anche grazie alla pioggia caduta il 4 aprile. Un ambiente risanato grazie alla buona volontà della gente deve nuovamente lottare con i danni provocati dal fuoco. Di conseguenza sarà necessario produrre una documentazione in merito a ciò che è rimasto e alla triste situazione che gli incendi provocarono in quei giorni neri di fine marzo-inizio aprile del 2019. Il fuoco risparmiò però sia Capela Capun che l’oratorio: ecco una foto del maggio 2020. Il resto sarà illustrato in un nuovo articolo…
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