Funghi porcini: una lunga storia
Nelle campagne di Serravalle durante gli anni magri del Dopoguerra gli operai-contadini sfruttavano tutte le risorse a disposizione: il bosco dava non solo legna, ma anche prodotti commestibili. La ricerca dei porcini permetteva talvolta una integrazione del reddito famigliare.
Scrive don Florindo Piolo:
Nei boschi, specialmente nella val di Chezza, nella stagione propizia, da agosto in poi, fino ai primi freddi, ci allieta la febbrile ricerca dei funghi che si consumano nel paese ed in parte passano anche, a secondo delle annate, al vicino mercato di Borgosesia…
(Da “Storia del Comune di Serravalle Sesia“, di don Florindo Piolo. Senza data, pag. 44).
I funghi cui l’Autore fa riferimento erano, ovviamente, i porcini. Le altre specie non erano neppure prese in considerazione.
“Fino all’inizio degli anni Sessanta – raccontano gli anziani – nei boschi c’erano porcini per tutti, anche per chi andava a cercarli ubriaco”. La loro ricerca a scopo di rivendita era infatti appannaggio di pochi e smaliziati cercatori che, al momento propizio, si avventuravano nei boschi con una capace cesta di vimini sotto il braccio. Muovendosi silenziosamente, da Piane e da Vintebbio si spingevano verso Lozzolo o raggiungevano località remote come la Cima Rimottina, la foresta della Gallina o la regione Sordova. Da Serravalle si avventuravano verso il torrente Chezza, i boschi della Romalasca e “Cappella Capun”, dove si incontravano con i bornatesi che che risalivano la collina di San Bernardo. I cercatori più esperti partivano alle prime luci dell’alba e, nel pomeriggio, se ne tornavano a casa con i recipienti colmi di porcini: la gente li chiamava “fungiat” e forse li invidiava. Di certo ne aveva rispetto ma non li imitava perché la raccolta era faticosa, i luoghi da raggiungere impervi e il prodotto – quando non vi erano acquirenti – era destinato all’autoconsumo, o regalato ai vicini di casa che se lo meritavano. Come si legge nei resoconti della stampa locale, un tempo i ritrovamenti erano strepitosi.
Un fungo di quasi 9 chili
Un fungo di straordinarie proporzioni è stato trovato nei giorni scorsi nella zona di Lozzolo dai coniugi Giovanni e Benedetta Naula, che abitano a Vintebbio. Il grosso fungo, del diametro di 70 centimetri, alto 60, pesava 8 chili e 6 etti, ed è stato rinvenuto esattamente nel punto in cui il sig. Naula, ogni due anni, ne ha già puntualmente raccolti altri, dal peso medio di circa 3 chili. Tornando trionfanti alla frazione, i fortunati coniugi hanno avuto la simpatica idea di dividere l’enorme porcino e di distribuirne un assaggio a tutti i compaesani.
(Dal Corriere Valsesiano del 7 ottobre 1960)
Erano gli anni della vacche grasse ma, nonostante la disponibilità, i pochi veri fungiat mai avrebbero rovinato lo strato superficiale del sottobosco per scovare gli esemplari più piccoli: raccoglievano e basta, in un silenzio quasi religioso e senza lasciare tracce del loro passaggio. Per certo, nessuno di loro aveva mai sentito parlare di micorrize, ma qualcuno si sarà chiesto perché quegli strani organismi nascessero: si formulavano ipotesi che, però, non trovavano risposte soddisfacenti. I funghi esistevano e basta e, a detta della gente, “se li vedevi smettevano di crescere”. Il frutto della ricerca era talvolta ceduto agli intermediari che, verso sera, arrivavano nelle case dei cercatori più esperti con un’automobile adatta al carico. Sceglievano gli esemplari migliori, pesavano, pagavano e se li portavano via. Dove li rivendessero non si sapeva, e nessuno se lo chiedeva: i funghi erano avvolti dal mistero sia per quanto riguardava la loro comparsa nel bosco, sia sul destino finale che li attendeva. L’attività, verso la metà degli anni Sessanta, assicurava già un buon reddito. Scrive il Corriere Valsesiano del 10 settembre 1965: «Si parla (magari un po’ esagerando) che a Vintebbio qualche raccoglitore particolarmente fortunato, rimasto a casa dal lavoro, abbia incassato alcune centinaia di migliaia di lire.»
Le cose cambiarono con la motorizzazione di massa. Negli anni del cosiddetto Miracolo Economico, in città i porcini erano rivenduti a caro prezzo: andar per funghi diventò perciò un affare interessante. I cercatori venuti da fuori – spesso privi di rispetto per l’ambiente boschivo – in paese erano chimati fungiat dal bali. Costoro erano spesso degli sprovveduti, ma con molti soldi in tasca. Si aggiravano qua e là e, se non trovavano i porcini nei boschi, li compravano dalla gente del posto senza badare a spese: anche a Serravalle i funghi raggiunsero pertanto un interessante valore di mercato. Quando poi i porcini incontrarono il favore degli automobilisti che si fermavano nelle trattorie della zona, gli angoli segreti e silenziosi dei boschi cominciarono a risuonare delle grida di troppe persone in malafede che, pur di trovare qualcosa da rivendere ai ristoranti locali, rovistavano lo strato umifero del terreno “fino alle radici degli alberi”. Per i cercatori di vecchio stampo fu la fine di un mondo: si incontravano smarriti, inviperiti contro quello scempio ingiustificato delle risorse delle foreste.
Nei primi anni Ottanta, poiché le cose andavano di male in peggio, si presero dei provvedimenti, anche legislativi. Sul Corriere Valsesiano del 12 ottobre 1984 un fungo che pesava «più di un chilo e mezzo» faceva ormai notizia, ma il resoconto del ritrovamento era accompagnata da una serie di osservazioni sulla flora fungina e ricordava gli obblighi di legge che ne regolamentavano la raccolta: la legge (era la L.R. 32 del 1982) c’era, ma pochi la rispettavano. In seguito la stampa locale – senza usare mezzi termini – prese posizione contro i cercatori che agivano in modo distruttivo: l’articolo qui di seguito riprodotto riflette lo stato d’animo dei serravallesi nei confronti dei fungaroli forestieri, ma occorre ricordare che anche la popolazione locale spesso non rispettava le usanza dei veri fungiat e che il ruolo ecologico dei funghi passava spesso in secondo piano…
Funghi?!
«Func, i rivo i Lumbard a la cunquista d’la muffa piemuntèisa». Non facciamo nomi, ma con trentamila lire arrivano, rovistano, polgano, rastrellano, invadono, sconvolgono muschio e strame, raccolgono quel poco o tanto che basta per cantare vittoria per aver conquistato una parte del Piemonte, almeno con gustosi funghi. La Regione è padrona delle muffe e ne può disporre con la solita arroganza, la caratteristica, del molto democratico patrocinatore dei Lumbard… tuttavia loro stanno facendo una crociata e ci conquistano a suon di profumati funghi per deliziare risotti, paste asciutte, intingoli vari.
(Dal Corriere Valsesiano del 24 novembre 1993 – Il testo appare nella pagina del corrispondente locale. Le “trentamila lire” sono il costo del tesserino per l’autorizzazione annuale alla raccolta)
La tutela dei prodotti del bosco
Per quanto concerne i tentativi messi in atto per la tutela dei prodotti del bosco, la Legge Regionale 32/82 pose un limite alla raccolta dei funghi. L’Amministrazione Comunale di Serravalle Sesia la propagandò con la posa di cartelli in lamiera tuttora visibili nei pressi delle piste che portano ai boschi. Il provvedimento giunse però quando le usanze dei vecchi fungiat erano ormai dimenticate. La gente conosceva ormai le zone dove crescevano i porcini migliori e, visti gli scarsi controlli, a dispetto della legge torme di fungaroli improvvisati continuavano a scorrazzare a piacimento, a volte armati di piccozze e rastrelli. Negli anni successivi furono messi in atto vari provvedimenti che vietavano la raccolta dei funghi il sabato e la domenica ai non residenti: questi erano tenuti inoltre a pagare il tesserino che autorizzava la raccolta. Nel 2007, le disposizioni cambiarono: una nuova Legge Regionale – la 24/2007 “Tutela dei funghi epigei spontanei” – abrogò le norme previste dalla L.R. n. 32/1982 ed estese l’obbligo del “tesserino per la raccolta funghi” anche ai residenti. Sulle piste d’accesso ai boschi si legge infatti che:
Dal 17 giugno 2008 per raccogliere i funghi occorre essere muniti dell’autorizzazione prescritta ai sensi dell’art. 3 L.R. 24/07, avente validità su tutto il territorio della Regione Piemonte. L’autorizzazione è personale e consiste nella ricevuta del versamento di € 30,00 […] accompagnata da un documento d’identità valido.
Il quantitativo massimo giornaliero per persona è di tre chilogrammi complessivi. La raccolta è vietata il sabato e la domenica «per i soggetti non residenti nei Comuni della Comunità Collinare». I funghi del peso di nove chilogrammi degli anni ’60 però restano solo un bel ricordo e nella “storia infinità” della raccolta di prodotti sui fondi altrui si assiste a un ennesimo colpo di scena.
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La Comunità Collinare del Porcino e del Nebbiolo
Serravalle fa parte della “Comunità Collinare Aree Pregiate del Nebbiolo e del Porcino”. Nel sito della Comunità si legge che:
La Comunità Collinare persegue le finalità di promuovere la salvaguardia delle zone di collina con particolare attenzione all’ambiente naturale, alla valorizzazione delle risorse umane e delle attività economiche, alla tutela, al recupero ed alla valorizzazione delle tradizioni storiche, culturali e religiose, senza dimenticare l’importante patrimonio enogastronomico, tipico del territorio (in particolare i prestigiosi vitigni di Nebbiolo, gli ottimi e ricercatissimi Funghi Porcini ed i frutteti). La Comunità Collinare, inoltre, offre alcuni servizi di pubblico interesse, in forma associata, allo scopo di migliorare la qualità dei servizi forniti, di favorire il superamento degli squilibri economici, sociali e territoriali esistenti nel proprio ambito e di ottimizzare le risorse economico-finanziarie, umane e strumentali.
(www.comunitacollinare.it/)
Aderiscono alla Comunità anche i comuni di Gattinara, Roasio e Lozzolo: siamo dunque in presenza di un territorio di 90 chilometri quadrati con una popolazione di circa 17.000 abitanti.
Tratto da:
Cicli produttivi e cultura popolare a Serravalle Sesia fra tradizione e modernità
Franco Bertola (pen name: Franco Gray) . Immagini dell’autore
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