Le “mazze di tamburo” (Macrolepiota procera) e le foglie di vite selvatica sono regali dell’autunno: le troviamo negli incolti e nelle radure da settembre a ottobre. Cucinati con cura e con pochi ingredienti essenziali, i cappelli appena aperti delle mazze di tamburo diventano un piatto appetitoso, dal gusto unico. L’articolo presenta due modi diversi di prepararle: nel primo caso il fungo rimane secco, croccante e senza sapori “estranei” (per non coprire il gusto delle mazze di tamburo tamburo, in effetti, l’olio può non essere un extravergine). Nel secondo caso si nota la presenza del pepe e del pane grattugiato: in questo caso il sapore dell’olio deve essere avvertito e gustato nella sua decisa sapidità…
La Macrolepiota procera – Conosciuta con i nomi di fantasia più disparati, la “mazza di tamburo” (Macrolepiota procera) è un fungo di grosse dimensioni: ottimo dopo una accurata cottura, si rivela tuttavia tossico se consumato crudo. Lo troviamo nelle radure soleggiate, ai bordi dei boschi e anche nei prati.
Avvertenza – il genere “Lepiota” comprende le Mazze di tamburo “classiche”, ovvero le Macrolepiote della foto e altri funghi simili di taglia più piccola, alcuni velenosi. Di conseguenza si consumano solo le Lepiote di grossa taglia, sane e – nel caso della ricetta qui presentata – con il grande cappello ben fresco e appena allargato, quindi ancora fragrante. Il gambo può essere essiccato, ridotto in polvere e utilizzato come condimento, mentre i cappelli ancora chiusi sono usati in altri modi, seguendo altre ricette…
La vite selvatica, o rinselvatichita – Inutile ricordare che le foglie di vite da utilizzare non devono avere ricevuto trattamenti antiparassitari. Di conseguenza vanno cercate tra gli incolti: nelle vigne abbandonate non sono difficili da trovare in quanto spesso le piante ricacciano dalla parte non innestata, sviluppano lunghi tralci che si avvinghiano a supporti improvvisati, quali gli alberelli che crescono spontanei prendendo il posto delle coltivazioni. In alternativa si possono usare le foglie dell’uva fragola, purché non trattate con prodotti chimici.
Le ricette
1 – La ricetta utilizza pochi elementi essenziali: l’aglio, il prezzemolo, l’olio di oliva, il sale, i cappelli sani fragranti delle “mazze di tamburo” e le foglie di vite. Il tutto andrà sistemato in una pirofila e cotto al forno in tempi diversi…
2 – Nella pirofila, ungere la parte superiore delle foglie di vite con olio di oliva
3 – Disporre sulle foglie ben unte d’olio i cappelli aperti delle mazze di tamburo. Nell’attaccatura del gambo, versare qualche goccia d’olio. Salare moderatamente (usare circa un quarto del sale necessario) e introdurre la pirofila nel forno precedentemente riscaldato fino a circa 250 gradi.
4 – Dopo circa 10 minuti di forno le foglie di vite saranno avvizzite e i cappelli dei funghi si presenteranno ormai appassiti: è arrivato il momento di aggiungere una spolverata di prezzemolo tritato…
5 – Mentre la cottura continua, tagliare l’aglio a pezzetti, mescolarlo con un poco d’olio e con il prezzemolo rimasto. Togliere quindi la pirofila dal forno per voltare i cappelli delle mazze di tamburo e coprirli con il prezzemolo e l’aglio. Aggiungere il sale necessario e eventualmente coprire con altre foglie di vite selvatica…
6 – A cottura ultimata i cappelli della macrolepiota vanno impiattati: a mio parere non si può portare in tavola la pirofila così come esce dal forno. Di conseguenza, è necessario togliere le foglie di vite ormai completamente avvizzite, gran parte del prezzemolo e i pezzi d’aglio. Sistemare i funghi su un contenitore da lasciare in forno a bassa temperatura fino al momento della presentazione.
Testo e foto: Fanco Gray
Stessi ingredienti, procedure diverse…
Sapori, profumi e tradizioni locali – uniti alla creatività – consentono che dagli stessi ingredienti, con piccolissime varianti ed utilizzando procedure diverse, si ottengano piatti differenti, ma ugualmente gustosi. Ad esempio…
In casa mia, in Liguria, le mazze di tamburo su foglie di vite si cucinavano così…
Conforme al carattere dei Liguri, parchi e attenti all’essenziale, questa ricetta prevede pochi passaggi ma soprattutto parsimonia nella quantità ed eccellenza nella qualità dell’olio, rigorosamente extravergine. Gli ulivi liguri, che inargentano il paesaggio con le loro foglie e guardano il mare dalle caratteristiche strette e aride terrazze dette “fasce”, producono olive piccole, ma saporitissime che danno un olio verdastro e fragrante.
Altri due ingredienti, oltre a quelli presentati nella versione precedente, arricchiscono la ricetta: il pane grattugiato (ampiamente e sapientemente usato in Liguria per “aumentare il volume” di numerosi piatti con poca spesa…) e il pepe nero, ricordo dei tempi in cui si prendeva il mare e si andava verso Oriente alla ricerca di spezie da rivendere.
Il procedimento:
1)Ungere una teglia, disporvi sopra le foglie di vite ben lavate ed asciugate.
2)Sopra ciascuna foglia porre un cappello di mazza di tamburo con le lamelle rivolte verso l’alto.
3)Preparare un trito di prezzemolo, sale, aglio e, se ben sodi e sani, i gambi dei funghi.
4)Porre il composto sopra le cappelle, ungere con poco olio extravergine e cospargere di pane grattugiato ed abbondante pepe nero.
5)Disporre la teglia in forno a circa 200 gradi per circa un quarto d’ora, senza girare o mescolare alcunché.
6)Portare direttamente in tavola la teglia o disporre su un piatto di portata le foglie di vite con il loro contenuto.
Lo stesso procedimento, se si è raccoglitori più fortunati, può essere attuato con i porcini (boletus edulis).
Io, anche se da tempo vivo in un’altra regione italiana, continuo a cucinare le mazze di tamburo secondo la ricetta che ricorda la mia terra!
Versione ligure, testo a cura di Daniela De Ambrosis e foto degli autori dell’articolo
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