Piante alimurgiche – In questo articolo: bistorta, silene, dente di leone e ortica. Quattro specie facilmente rinvenibili nei prati e nei pascoli montani che aiutano a ri-scoprire sapori antichi…
Le “piante alimurgiche” sono le erbe dei prati che – nei momenti magri – permettevano alla povera gente di mettere qualcosa sotto i denti. Un tempo, in effetti, mentre i gran signori banchettavano con carni pregiate… i meno abbienti per sbarcare il lunario dovevano spesso accontentarsi delle “erbette” selvatiche. Al mondo le abitudini però cambiano con il passare del tempo: ai nostri giorni le piante selvatiche commestibili sono diventate un piatto pregiato e ricercato.
Foto in alto – A sinistra: foglie e fiori di bistorta: notare le lunghe foglie che cambiano colore nella pagina inferiore; seguono i calici gonfi della silene in fiore. Al centro un tenero cespo di tarassaco. A destra la sommità di una ortica
Bistorta
La Bistorta è caratterizzata da grossi rizomi, da un fusto aereo alto una settantina di centimetri e dalla inconfondibile infiorescenza a forma di spiga di color rosa marcato. Le foglie – verde scuro nella parte superiore, più chiare nella pagina inferiore – sono il cosiddetto “spinacio dei prati” che può essere raccolto senza creare problemi alla pianta. Questa infatti, anche grazie alle riserve di nutrienti contenute nella parte interrata, ricaccerà in breve tempo. Di conseguenza nelle radure relativamente umide e fresche del piano sub-montano e montano, si potrà raccoglierla fino all’emissione degli steli fioriferi. La fioritura – che com’è ovvio varia con l’altitudine – a quote pedemontane (circa sei-settecento metri) inizia alla metà di maggio, ma le tenere foglie basali compaiono già con i tepori della primavera.
Silene
Nella foto sotto i tipici fiori rigonfi della silene visitati da un’ape bottinatrice. Notare gli stami, le antere e gli stigmi che – sotto forma di lunghi filamenti pallidi – si sporgono all’esterno del calice per catturare efficacemente i granuli di polline che l’ape porta con sé.
Le silene crescono in cespi nei prati pingui, ma si adattano anche a condizioni difficili. Le piante sono caratterizzate da un apparato radicale robusto e funzionale: un rizoma carnoso dal quale partono numerosi fusticini teneri ricoperti di foglioline opposte le une alle altre. Con la crescita, la parte edibile diventerà via via più coriacea per cui… il consumo dei getti sarebbe poco gradevole e riporterebbe alle tristi usanze messe in atto durante le carestie e i tempi magri dei secoli passati, quando si mangiava di tutto solo per calmare i morsi della fame. La fioritura avviene in genere alla metà di maggio. Poco più avanti – quando è ormai arrivata l’ora di falciare i prati – la pianta riempirà i suoi calici di frutti (capsule) i cui semi – vista l’adattabilità che la caratterizza – potranno germinare anche in ambienti difficili e poco ospitali quali i muretti di pietra a secco.
Tarassaco
Il robusto, adattabile e onnipresente Tarassaco rappresenta la tipica “insalata dei prati”. Lo troviamo quasi ovunque, anche lungo i sentieri e nei tratti verdi soggetti a calpestio, ma il suo habitat ideale rimane il prato concimato e fresco. Pianta dai molti usi e dalle mille risorse: c’è chi raccoglie i boccioli ancora chiusi per conservarli sotto aceto e chi – bollendone i fiori con dello zucchero – ne ricava uno sciroppo pomposamente definito “Miele di Tarassaco” cui sono attribuite proprietà medicinali. I segreti del successo di questa Asteracea stanno nella radice a fittone e nelle sua capacità di dispersione dei semi, i noti “soffioni” che – portati dal vento – grazie alla loro particolare struttura riescono a veleggiare lontano. Altra caratteristica è la loro germinabilità: i soffioni falciati con l’erba lasciata al suolo colonizzeranno ben presto il prato.
Ortica
L’umile ortica: la pianta più conosciuta e presente un po’ ovunque. Le presentazioni non servono, gli effetti di dolorosi ponfi che provoca se maneggiata incautamente sono noti a tutti. Qualche informazione di carattere ambientale e di botanica potrà renderla accettabile?
Anzitutto notiamo che – come da nome scientifico – l’ortica è dioica: i fiori maschili crescono su piante diverse da quelle femminili. La funzione ecologica dell’ortica vede le foglie come gradito pasto dei bruchi di alcune specie di farfalle: tra queste la Vanessa dell’ortica. Nei pascoli montani della Valsesia le giovani larve scure della Vanessa (Aglais urticae) sono frequenti, ma alcune fonti danno la specie in declino, soprattutto nelle zone lontane dai rilievi. Voci di popolo? Va da sé che, se mai mancasse la pianta nutrice dei bruchi, non vedremmo neppure il volo e i colori delle farfalle.
Una ricetta povera per un piatto da intenditori…
Foglie di bistorta e di tarassaco, getti teneri di silene, cime d’ortica
Le erbe appena descritte entrano nella ricetta in proporzioni variabili. La dose ottimale – a parere del sottoscritto – dovrebbe vedere la prevalenza della silene (cime tenere) e della bistorta (solo le foglie). Seguono (in proporzioni minori) le cime delle ortiche e un po’ di tarassaco. Per quanto riguarda il tarassaco un paio di fiori a razione ci possono stare.
Si procede bollendo le alimurgiche tutte insieme con del succo di limone. Dopo qualche minuto di cottura si cambia l’acqua e si aggiunge il sale. Si rimettono le erbe nell’acqua fredda e si fanno bollire nuovamente: se tenere basteranno pochi minuti.
Scolate a dovere, le erbe ormai lessate saranno rimescolate con un filo d’olio, poi potranno essere messe in forno (anche nel microonde) o saltate in padella con un po’ d’aglio, del peperoncino, un ricciolino di burro e una acciuga a porzione.
Le quattro erbe citate si prestano a parecchie altre preparazioni. La ricetta qui presentata ricalca la antica tradizione piemontese che vuole l’acciuga e il ricciolo di burro per dare importanza ai piatti semplici. In effetti – se andiamo indietro nel tempo e coniughiamo la tradizione culturale alle esigenze economiche – scopriamo che dalla Liguria ricca di pesce gli “Anciuvat” valicavano le montagne e arrivavano in Piemonte con i loro barili di pescato conservato sotto sale. La valli alte del Piemonte vedevano una forte mobilità: parecchi abitanti delle contrade montuose un tempo scendevano infatti nelle ricche pianure per la monda del riso o per i raccolti. Quando poi gli stagionali tornavano a casa… le acciughe continuavano a viaggiare nelle loro bisacce. Ci sarebbe da aggiungere che – mentre le acciughe conquistavano il Piemonte – il burro arrivava raramente sulle spiagge liguri. Ma qui il discorso si fa complicato: di conseguenza non rimane che programmare qualche nuova ricetta a base di erbe…
Le ricette vanno inviate a
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Raccomandazioni di rito e di buonsenso – Sebbene in questo articolo si tratti di piante note e utilizzate da sempre, le indicazioni qui fornite non devono portare a facili identificazioni: prima di raccogliere e di mettere in pentola è sempre opportuno chiedere informazioni a chi lo fa abitualmente. La commestibilità delle erbe non deve portare a raccolte indiscriminate e sovrabbondanti e i metodi messi in atto per la raccolta non devono provocare la loro rarefazione. Ultimo accorgimento: attenzione ai trattamenti antiparassitari che potrebbero aver “avvelenato” le piante. Nel caso del tarassaco consumato fresco sono raccomandati lavaggi abbondanti e accurati per rimuovere eventuali agenti patogeni.
Franco Gray (All’anagrafe: Franco Bertola)
Nomi scientifici delle piante qui trattate:
Bistorta: Polygonum bistorta e sinonimi – Silene: Silene vulgaris e sinonimi – Tarassaco: Taraxacum officinale – Ortica: Urtica dioica.
Bibliografia di riferimento: Flora valsesiana – Mario Soster, Blu Edizioni 2008
Sitografia: Acta Plantarum.org
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