Enarpa e desarpa in Valsesia e nelle Valli del Biellese sono termini poco usati: in effetti li ascoltai per la prima volta anni fa all’UPO dalla viva voce del professore di etnologia Piercarlo Grimaldi. “Enarpa” evoca la primavera, con l’avventura della salita agli alpeggi delle mandrie, verso i pascoli d’alta quota ricchi di erbe tenere e di fiori profumati. “Desarpa” indica invece la successiva discesa quando, con l’arrivo dei primi geli di settembre, i malgari scendono a valle. La salita all’alpeggio e il rientro sono celebrati in vari modi, con cerimonie, sagre e benedizioni: fanno parte di un rituale dai mille colori che cambia da paese a paese e che spesso riprende tradizioni che sono arrivate fino a noi dalla notte dei tempi.
Ho partecipato a varie transumanze, a volte per dare una mano e… soprattutto per poter documentare dal vivo il tragitto che – ora a piedi con marce anche notturne, ora sui camion – vede arrivare ai piedi dei sentieri di montagna mucche, ovini e animali da soma provenienti dagli allevamenti del fondovalle.
L’esperienza della transumanza aiuta a riflettere sulla diversa interpretazione della realtà ad opera degli umani. Lungo la strada asfaltata incontri di tutto: accanto alle persone che guardano ammirate la mandria scopri figure che vanno dall’automobilista schizzato alla signora che lancia improperi perché pecore e capre, allungando il collo o infilando il muso tra le recinzioni, potrebbero brucare i fiori del suo giardino. Poi, imboccato il sentiero che porta agli alpeggi, ti accorgi che gli animali hanno fretta di arrivare: fiutano l’erba tenera che li aspetta… e la fatica diventa poesia.
Primavera: si sale verso gli alpeggi…
L’estate alpina esplode quando si scioglie l’ultima neve. Nella foto di Matthias Mandler – scattata a luglio sul tracciato che porta al Rifugio Barba Ferrero – balzano agli occhi i fiori delle praterie e dei pascoli d’alta quota: in primo piano arniche e campanule. Tra le alture dello sfondo il Mud, il Tagliaferro e il Corno d’Olen: montagne disseminate di sentieri a volte nascosti, di pascoli, di alpeggi e di baite…
Con questa nuova foto di Matthias Mandler lasciamo le valli a cavallo della Valsesia.
Ci troviamo in Val Cairasca, nel Parco Naturale dell’Alpe Veglia e dell’Alpe Devero. Dal Lago Bianco, immersi in una spledida fioritura di costolina alpina, vediamo sullo sfondo il Monte Leone (m 3553): siamo ormai alla fine di luglio, ma sui fianchi della montagna permangono gli ultimi residui di neve e l’estate alpina giungerà presto al termine.
Con la metà di agosto esploderanno i temporali e arriveranno i primi freddi: questi luoghi diventeranno sempre meno agibili e le mandrie che vi hanno passato la stagione calda saranno costrette a scendere a valle.
Fine estate, si scende dagli alpeggi…
La breve stagione degli alpeggi d’alta quota finisce con l’estate. All’inizio dell’autunno nelle praterie del piano alpino arrivano infatti le prime spruzzate di neve e il freddo che brucerà il verde dei pascoli.
Le foto sono state scattate in ai primi di ottobre da Celestino Vuillermoz in Valle d’Aosta. Siamo verso il Colle del Gran San Bernardo, a quote sopra i 2400 mslm. Il pastore attanagliato dalla precoce nevicata ha trascorso l’estate sui monti. Lassù, con l’aiuto di una compagna, accudisce circa 900 ovini, tra pecore e capre. Le prime nevi cancellano il verde e i sentieri e – soprattutto se impreviste – obbligano i margari a compiere precipitose discese verso il fondovalle
Quella che, a prima vista, potrebbe sembrare una ritirata in realtà è soltanto un inaspettato ripiegamento tattico: la veloce discesa verso il fondovalle prelude a un nuovo ritorno. E così sarà quando lassù torneranno i fiori e i profumi di un’altra primavera.
Non solo neve…
“Se il tempo ci aiuta… siamo a cavallo, se non ci aiuta ci arrangiamo come si può”: così recita un vecchio detto valsesiano. Per il rientro delle mandrie, in effetti, nulla è più gradito di una bella giornata di sole e – negli ultimi tratti – di un traffico disciplinato. La foto mostra una tranquilla desarpa di fine settembre: a stagione dell’alpeggio ormai conclusa, le mandrie hanno lasciato l’alpe di Mera e si dirigono verso Campertogno. Tra poco gli animali arriveranno ai ricoveri del fondovalle, e nei recinti troveranno ancora erba fresca. In primo piano Greta con i suoi cavalli aveglinesi, sullo sfondo il padre, medico veterinario e appassionato allevatore (Foto: Franco Gray)
Campertogno: la mandria staziona nei capaci recinti annessi ai ricoveri invernali. Se nei pascoli alti l’erba sarà presto coperta di brina, qui gli animali trovano ancora un pascolo ricco e vario. Nel grande recinto tra le razze tipiche della Valle si notano le “Higlander”: la razza è originaria della Scozia e riesce a prosperare anche in condizioni ben più difficile di quelle delle vallate alpine. I soggetti qui fotografati hanno trascorso l’estate all’alpe di Mera e presto ritorneranno alle pendici del Monte Fenera. La razza è presente anche in Val Vogna.
Le transumanze sono anche momenti di incontro durante i quali si mette in atto il concetto di “aiuto solidale” tra allevatori ed ex- allevatori: nelle pause compaiono sempre un po’ di pane e qualche salame. Tra i racconti del tempo che fu entrano in scena anche momenti di divertentimento: una volta un anziano aiutante-pastore nel vedere molta gente nuova e forse un po’ inesperta rivolse al proprietario della mandria una battuta che ancora mi fa sorridere: “…ma… dove li hai presi questi? Hai più animali che bestie!”. Seguì una bella risata generale: di tanto in tanto ci vuole, allevia le tensioni.
Nei paesi di montagna c’è sempre una buona occasione per fare festa. A desarpa conclusa si organizzano sagre, fiere e altri momenti d’incontro: il bestiame viene agghindato e messo in mostra, i malgari vendono i loro formaggi d’alta montagna e gli artigiani i loro prodotti…
Alpeggi noti e luoghi dimenticati
Murature e sentieri dimenticati – Le foto di Giovanni mostrano una mulattiera ormai quasi dimenticata della Valle Artogna e (foto sotto) un curioso manufatto di cui si cerca di intuire la funzione originaria. Forse – scrive l’autore – quel muretto serviva a proteggere un coltivo. E a proposito dei muretti che costeggiano le mulattiere Giovanni ricorda i nomi locali: nell’Alta Valle erano detti “gasse” o “stricce” e avevano la funzione di difendere prati da sfalcio e coltivi dall’ingordigia degli animali.
L’autore delle due foto che chiudono l’articolo ricorda una antica usanza di Alagna: se una mucca fosse mai entrata nei campi altrui il padrone dell’invadente animale avrebbe dovuto indennizzare il proprietario del fondo con una forma di pane per ogni impronta lasciata sul terreno. Usanze che “… fanno capire perché gli antichi si prendevano il tempo di spostare tonnellate di pietre da mettere ai bordi delle mulattiere…”, conclude Giovanni.
Concludo proponendo un momento di riflessione sui fattori che hanno influenzato il destino degli alpeggi. Alcuni sono rimasti a testimoniare un felice connubio tra natura e cultura, altri sono stati massicciamente antropizzati ma – accanto alle moderne strutture destinate al tempo libero – hanno in parte conservato l’antica vocazione e vi troviamo sia gli animali al pascolo che le altre attività legate all’agricoltura e alla selvicoltura. Poi ci sono gli alpeggi dimenticati e ormai in rovina… e si scopre che è ora di inventare un nuovo titolo e di capire come e perché ciò sia avvenuto.
A cura di Franco Gray (All’angrafe: Franco Bertola) – Revisione: Dani Ciamp
Bibliografia
Grimaldi Piercarlo 1993 – Il calendario rituale contadino, Milano, Franco Angeli
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