Le “mazze di tamburo” (Macrolepiota procera) e le foglie di vite selvatica sono regali dell’autunno: le troviamo negli incolti e nelle radure da settembre a ottobre. Cucinati con cura e con pochi ingredienti essenziali, i cappelli appena aperti delle mazze di tamburo diventano un piatto appetitoso, dal gusto unico. L’articolo presenta due modi diversi di prepararle: nel primo caso il fungo rimane secco, croccante e senza sapori “estranei” (per non coprire il gusto delle mazze di tamburo tamburo, in effetti, l’olio può non essere un extravergine). Nel secondo caso si nota la presenza del pepe e del pane grattugiato: in questo caso il sapore dell’olio deve essere avvertito e gustato nella sua decisa sapidità…

“Mazze di tamburo” (Macrolepiota procera). A sinistra un esemplare giovane con il cappello ancora chiuso dalla caratteristica forma che dà il nome volgare al fungo. Al centro un esemplare ormai maturo: cresce tra le betulle, le felci e i giovani ornielli. La foto di destra è stata scattata in una radura, ai margini di un terreno incolto.
La Macrolepiota procera – Conosciuta con i nomi di fantasia più disparati, la “mazza di tamburo” (Macrolepiota procera) è un fungo di grosse dimensioni: ottimo dopo una accurata cottura, si rivela tuttavia tossico se consumato crudo. Lo troviamo nelle radure soleggiate, ai bordi dei boschi e anche nei prati. Continua a leggere