In Italia si ha un solo raccolto di riso all’anno. La prima operazione consiste nell’aratura del campo: in origine eseguita utilizzando una coppia di buoi, vide in seguito l’uso del cavallo da tiro, molto più veloce. Dalla metà del Novecento nelle campagne l’utilizzo degli animali fu soppiantato da trattori via via più efficienti, dotati di imponenti aratri ed erpici. I primi sollevano e rivoltano la terra ossigenandola, i secondi sminuzzano e spianano il terreno (oggigiorno con l’ausilio del laser) e lo preparano a ricevere il seme. La risaia però deve essere leggermente in pendenza affinché l’acqua vi defluisca lentamente e non ristagni, altrimenti il riso non crescerebbe bene! I sistemi di rogge e di chiuse permettono l’allagamento razionalizzato di una vastissima superficie arativa che occupa buona parte delle pianure del Novarese, del Vercellese, del Biellese e del Pavese, e costituiscono forse la più interessante opera ingegneristica di questa parte d’Italia. L’apice è stato raggiunto con la costruzione del Canale Cavour che, realizzato fra il 1863 e il 1866, preleva l’acqua dal Po vicino a Chivasso e la porta fino al Ticino irrigando la campagna circostante.
Il riso si semina in primavera, da marzo ad aprile; una volta l’operazione veniva compiuta a mano dai contadini, ora è sempre affidata alle macchine. L’acqua entra nei campi spumeggiando e gorgogliando a qualche giorno di distanza dalla semina: la terra argillosa la assorbe, poi il livello cresce e raggiunge ogni angolo della risaia fino a lambirne gli argini. Nelle settimane a venire quella stessa acqua rilucerà sotto il sole riflettendo i colori del cielo, mentre sotto la superficie il seme germoglia silenziosamente segnando l’inizio di una nuova vita e la speranza di un buon raccolto. In questo ambiente si crea un habitat adatto agli animali selvatici che vivono a stretto contatto con l’acqua: anche le rane – dopo una temuta estinzione dovuta all’introduzione di diserbanti e alla coltivazione del riso “in asciutta” – sono tornate a popolarla. A sparire sono state invece alcune specie di pesci: carpe e tinche un tempo venivano introdotte nelle risaie in primavera e, quando il campo in estate veniva prosciugato, le si attendeva alla chiusa. Il loro allevamento costituiva una risorsa economica aggiuntiva e, per i ragazzini, la cattura dei pesci acciuffati al volo si trasformava in una divertente avventura.
La raccolta un tempo si faceva a mano: si abbracciava un fascio di steli carichi di spighe e, senza scuoterlo per non far cadere i chicchi maturi, lo si tagliava con l’ansura (una sorta di falcetto). Subito dopo gli steli legati in covoni venivano trasportati in cascina e battuti su un telo affinché i chicchi si staccassero. Dopo la seconda guerra mondiale giunse la trebbiatrice. Le cose sarebbero ancora cambiate con l’arrivo della mietilega: un macchinario che tagliava le piantine di riso e le legava in covoni pronti per essere caricati sul carro. Giunse infine la mietitrebbia, imponente mezzo che miete e divide i chicchi dalla paglia: i primi vengono convogliati in un contenitore, mentre la seconda viene rigettata nel campo. Il riso giunge a maturazione nel corso della torrida estate: per capire quando è pronto per la raccolta agli agricoltori basta un’occhiata perché una particolare sfumatura del colore delle spighe rivela il grado di maturazione.
Durante l’operazione di mietitura vengono stanati molti degli animaletti che si rifugiano tra le piante di riso per cui è consueto vedere flotte di uccelli in attesa di agguantare rane, insetti e piccoli roditori.
Le varietà di riso che troviamo nei negozi portano nomi vercellesi quali Sant’Andrea, Baldo, Rosa Marchetti e Arborio: alcune sono più adatti ai risotti e alla famosa paniccia, altri alle minestre e alle insalate. Ci sono poi risi dai colori insoliti, come il Venere, nero. A detta di alcuni buongustai la varietà migliore è il Carnaroli perché non scuoce e ha un gusto più pieno. I risi attualmente coltivati recano però nomi insoliti come Centauro, Gladio, Poseidone, Ariete: sono stati selezionati per resistere alle malattie e agli insetti, e per offrire un’elevata produzione. Naturalmente il prodotto “di nicchia”, selezionato e venduto nelle riserie sorte attorno alle coltivazioni ha un gusto molto diverso rispetto a quello confezionato e destinato alla grande distribuzione!
Pagina a cura di Michela Ferrara