Jaku era un pulcino di allocco che un certo “Veleno” aveva sottratto dal nido e “dimenticato” in una legnaia. Riuscii a portarglielo via, lo allevai e mi presi cura di lui fino al giorno in cui scomparve misteriosamente…
Nella Bassa Valsesia, l’allocco nidifica già alla fine di febbraio, quasi sempre in un vecchio albero cavo e deponendo solamente un paio di uova. La cova dura circa un mese poi, quando si avvicina il periodo della schiusa, la cavità in cui i pulcini cresceranno si riempirà di prede: i nidiacei saranno nutriti con i piccoli roditori che i genitori cattureranno nottetempo nei boschi. Nati verso la fine di marzo, a maggio gli allocchetti perdono la lanuggine, si coprono di penne e di piume e iniziano i primi voli.
La storia di Jaku è ambientata negli anni Sessanta del secolo scorso. A quei tempi – nei paesi di campagna – molti ragazzi passavano parte del loro tempo libero tra boschi e corsi d’acqua…
La mia avventura con Jaku iniziò a febbraio quando, dopo la scuola, esploravo con il Sergio Pella i boschi attorno al paese. Un bel giorno – mentre eravamo alla ricerca dei ghiri e dei moscardini in letargo – nella cavità di un vecchio castagno scoprimmo un nido di allocco con un paio di uova e, da allora, quel grande albero divenne il nostro libro di Scienze preferito. Mamma allocco non mostrava di temere le nostre visite: quando capiva che stavamo arrampicandoci lungo il tronco lasciava il nido per appollaiarsi su un ramo poi, appena toglievamo il disturbo, vi rientrava per continuare a covare. Non so come ma Veleno, un compagno di scuola più grande di noi, un giorno seppe della nostra scoperta e ci seguì di soppiatto. Dalle due uova era ormai nato un solo allocchetto che quasi sembrava conoscerci ed aspettare le nostre visite: in effetti, talvolta gli allungavamo qualche pezzetto di carne. Stavamo rifocillando il nostro protetto quando, sbucato dal nulla, ci ritrovammo con l’odiato Veleno proprio sotto il grande castagno cavo: “… se tocchi il piccolo… aggiustiamo i conti…”, gli dissi appena sceso e prima di scappare per evitare di prenderle. Il buon Sergio Pella – che era molto bravo a tirare con la fionda ad elastico – si allontanò con me e, tanto per avvertirlo, appena fummo sufficientemente lontani gli sparò un sassolino proprio davanti ai piedi.
Due giorni dopo, il pulcino di allocco era scomparso dal nido: supposi subito che l’avesse preso Veleno.
Erano ormai passate le cinque del pomeriggio ed era quasi buio ma, senza pensarci un attimo, inforcai la bicicletta e mi precipitai a casa del prepotente. Quando sua madre – che ben mi conosceva – venne ad aprire tagliai corto e, senza neppure salutarla, sbottai: “… sono qui per prendere l’allocco e portarlo via!”.
“Beh… Credo di aver visto uno strano uccello nella legnaia… potrebbe essere lui, però non so se è ancora vivo. Dei traffici di quel lazzarone di mio figlio… io non voglio saperne niente. Vieni, andiamo. Mi fai un piacere se me la levi di torno, quella bestiaccia…”
Dentro una scatola di legno la bestiola aveva ormai le ali abbassate ma, al vedermi, credo abbia provato un po’ di sollievo: forse sperava di ricevere qualcosa di buono, così come avveniva quando se ne stava nel suo rifugio del bosco perché, quando le misi un dito davanti al becco, mi guardò muovendo le ali ed emettendo un pigolio. Capii che aveva fame, la afferrai velocemente e me la infilai sotto il giubbotto, sperando di riuscire a dileguarmi prima che rientrasse Veleno. Dieci minuti dopo ero a casa: l’allocco era già stato battezzato Jaku e aveva ricevuto pure qualche pezzetto di carne di pollo.
“Cosa ti è girato di portarlo via dal nido? Dovevi lasciarlo dov’era – fu il commento dello zio Augusto – lo sai che gli allocchi catturano i topi e non bisogna disturbarli…”
“…. Veramente… zio, Jaku non l’ho trovato nel nido ma… l’ho portato via dalle grinfie di Veleno… era stato lui a prenderselo. Ce l’aveva nella legnaia e, forse, l’avrebbe lasciato morire di fame e di sete…”
Mentre raccontavo l’avventura all’inizio lo zio stentava a credermi, ma poi ricevetti le sue congratulazioni e l’approvazione totale della zia Rina. Infine piovvero gli immancabili consigli: “… hai fatto bene ma… attento! Veleno si vendica, lo sai. Ti conviene stargli alla larga per qualche giorno…”
La fortuna, si sa, aiuta le persone che compiono buone azioni. Il giorno dopo, a scuola, Veleno non c’era. Non sapremo mai se rimase a casa perché ammalato o per altri motivi: pare che, coinvolto in una rissa, avesse preso un fracco di botte da un tizio più grande di lui. Quando ritornò a scuola, non aveva certo voglia di attaccare briga e neppure accennò all’allocco che gli avevo sottratto.
Nella fattoria, il buon Jaku cresceva a vista d’occhio. Di giorno spariva nel bosco ma, con il buio, tornava: era sempre alla ricerca di qualcosa di buono. “… mandalo a prendere i topi – diceva lo zio Augusto – deve imparare a fare il suo mestiere!”
Jaku imparò presto a convivere con gli umani, ma allo stesso tempo sentiva il richiamo dei boschi in cui era nato. A volte se ne stava appollaiato su un ramo nei pressi della casa anche di giorno, forse in attesa di qualche preda. La sua presenza era segnalata dagli uccellini che, pigolando irrequieti, gli volavano attorno per spaventarlo.
Passarono la primavera, l’estate e l’autunno. Di mese in mese si arrivò a dicembre e, quando gli allocchi iniziano a riprodursi, aspettai invano il ritorno di Jaku. Forse trovò l’anima gemella perché, dalla collina, sentì i richiami d’amore dei suoi simili ma è però possibile che, disorientato dalla prima neve, sia stato vinto dal freddo. Dove sia andato a finire rimane tuttora un mistero, uno dei tanti misteri di queste valli remote.
Franco Gray (all’anagrafe: Franco Bertola) – Riduzione e adattamento da “Romanzo Etnografico”
Altri racconti
Vai a Carlo Alberto, la Grisa e Lucifero
Vai a Cru-Acc, storia di un corvo da guardia
Vai a Kain, il guardiano dei ricordi
Temi correlati
Vai a Vecchi alberi: la vita attorno ai grandi patriarchi