Valsesia: la Valle Vogna e i suoi prati, la gente che vi lavora, le forme di vita che li popolano. I prati della Valle attraversata dal torrente Vogna sono ripidi e spesso confinano con i burroni ma la gente del posto se ne prende ugualmente cura: sin dai primi di giugno i declivi mostrano infatti infinite sfumature di colori che attirano miriadi di insetti e altri animali. Falciare l’erba nei terreni con forti pendenze è difficile ma accanto alle tradizionali procedure si possono osservare macchinari di piccole dimensioni adatti alla fienagione di montagna…
Foto sopra – Un prato con erbe da falciare: tra le graminacee sulla sinistra si possono osservare i primi “soffioni” (genere Tragopogon, fam.Composite) già sfioriti che si apprestano a diffondere i loro semi: il vento li porterà lontano. Seguono i fiori blu di una leguminosa da foraggio (genere Vicia) e i globi della Silene, una pianta che in primavera fornisce gustosi cespi da utilizzare in cucina…
Il nostro viaggio tra i prati della Valle Vogna inizia al termine della strada asfaltata nei pressi della Frazione Sant’Antonio a quasi 1400 m di quota. Da lì un agevole sterrato conduce agli alpeggi, al greto del torrente e alle frazioni alte della Valle. A fine giugno il percorso vede scampoli di prato già falciato e distese di erbe fiorite: proseguendo verso le montagne tra gli strapiombi e il torrente si incontrano sorgenti, punti di sosta, deviazioni per malghe e rifugi. Alla Frazione Peccia le mandrie pascolano tra un invaso e i prati. Da lì il sentiero si fa stretto e a allo sterrato subentrano le mulattiere.
Nella foto a lato le montagne che fanno da sfondo al paesaggio: a sinistra il Corno Rosso (noto anche come Punta Carestia), seguono, in primo piano, Punta Oro e Punta del Kin, a destra Punta Plaida. L’articolo – in quanto dedicato principalmente alla fienagione dei giorni nostri – si ferma però alla Frazione Peccia, con un accenno alla località Rabernardo e ad alcuni aspetti del territorio che saranno sviluppati in altri momenti…
Fienagione in montagna: tra Storia e lavoro dei giorni nostri
Attrezzi antichi e sempre attuali – I disegni di Costantina Fiorini mostrano gli strumenti antichi che hanno permesso la creazione dei prati di montagna. L’illustrazione in alto mette in evidenza la falce fienaia e gli attrezzi usati per la sua affilatura: in particolare alcuni tipi di cote e di incudini. Il contenitore della cote era spesso ricavato dal corno di una mucca: riempito d’acqua, era portato alla cintura e – in caso di necessità – si ricorreva alla cote inumidita per poter continuare il lavoro alla meno peggio. Al termine dell’intervento la falce andava martellata: il disegno mostra alcuni tipi di incudine e di martelli. Nella foto a lato la tipica posizione di chi – battendo ripetutamente sul filo della falce – provvedeva alla sua affilatura.
Per alleviare la fatica, in ogni paese di montagna si erano studiate soluzioni per il trasporto a valle dell’erba e del fieno. I cavi d’acciaio – dai prati alti – permettevano di far scendere in basso il foraggio stivato in capaci sacche agganciate alle carrucole ma, in molti casi, il trasporto avveniva a spalle mediante le “civere”. Occorre però rilevare che ogni località aveva i suoi termini e le sue invenzioni e che tuttora sono in funzione piccole teleferiche. Una breve riflessione sulla vita dura di un tempo: in molti casi gli eccessi di peso sulle spalle provocavano schiacciamenti o usura eccessiva delle vertebre che condannavano a una dolorosa vecchiaia. Va da sé che non si vogliono certo rimpiangere i tempi in cui per un carico d’erba si lavorava ore e ore, spesso tra burroni e versanti impervi e utilizzando solo la falce a mano (la “meula”) ma – anche per una sorta di dovere morale – si ritiene doveroso fare in modo che non vengano dimenticati…
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Tra prati e radure
La zona presa in esame è caratterizzata dalla presenza del Torrente Vogna e dai suoi numerosi affluenti. Il torrente non si limita a scorrere: precipita, mugghia, si avvolge in mulinelli e continua a scavare gole profonde. I sentieri, i prati e i pascoli sembrano sospesi tra gli strapiombi che il lavoro delle acque ha creato nel corso dei millenni. Fin verso la Frazione Peccia (a circa 1500 m slm) ai prati falciati si alternano radure talvolta quasi inaccessibili, altre volte utilizzate come pascolo. Attorno ai fabbricati troviamo pure piccoli orti che – chissà come – riescono ad evitare l’ingordigia degli animali. Oltre le abitazioni, cessano i rumori delle macchine adoperate per produrre foraggio da conservare e si odono i campanacci degli animali al pascolo…
Animali: domestici, da lavoro e selvatici…
Un felice incontro nel corso di una escursione. Siamo ai margini di una superficie utilizzata a pascolo e un capriolo cerca la sua pastura preferita: oltre alle erbe consistenti, approfitterà dei germogli teneri che ricrescono alla base di un tronco di latifoglie. Gli alberi caduti sono stati accatastati in tese che offrono riparo e il mammifero – sentendosi al sicuro – bruca tranquillamente. Com’è noto, questi ungulati non si accontentano dell’erba ma, per completare la dieta, hanno necessità di vegetali ricchi di fibra e di qualche frutto. Più su – fatto insolito per queste altitudini – subito dopo la chiesetta della frazione Peccia lungo il sentiero si possono osservare alcuni vetusti ciliegi (o amareni?): si tratta di alberi coltivati in tempi lontani lasciati al loro destino ma ai primi di luglio dai rami pendeva qualche frutto ancora acerbo. Alberi evidentemente piantati da mani fiduciose che, con i loro semi, hanno contribuito alla diffusione dei ciliegi selvatici che qua e là sopravvivono alle avversità del clima.
Tra i fiori e le altre meraviglie…
Foto sopra – A sinistra una Zigena su di una Veccia (Vicia sp.) in fiore: siamo in presenza di una leguminosa foraggera dei prati in grado di attirare gli insetti pronubi. Al centro, in un pascolo ormai sfruttato, gli ultimi fiori della Rosa glauca. A destra una Crotonella.
Nella foto a destra la nota Parnassius apollo posata su di una Centaurea: siamo nei prati destinati allo sfalcio e i fiori vedono un brulicare di insetti di ogni genere. Nei pascoli già utilizzati si nota invece la presenza delle piante che gli animali non brucano: tra queste le specie velenose e i cardi che, protetti dalle spine, prosperano senza problemi. Qua e là troviamo le ultime fioriture della Rosa glauca, un arbusto altrove raro che in questa valle cresce fino ai margini dei lariceti insieme alla Crotonella (Lychnis flos-jovis), la pianta “pelosa” della famiglia delle Cariofillacee (foto sopra a destra) che al bestiame domestico sembra poco appetibile…
La straordinaria presenza di piante e di animali (selvatici e domestici) dei prati e dei pascoli montani sarà illustrata in altre distinte pagine con argomenti in “costruzione permanente”. Vi si raccoglieranno le foto più significative riguardo alle varie specie delle nostre vallate. Il tutto in schede con osservazioni che saranno via via aggiornate…
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Fieno di fiori
Un prato in piena fioritura che, mentre mostra i colori dei fiori, lascia intuire i profumi e le presenza che ne fanno un ambiente caratterizzato dai ronzii degli insetti bottinatori, dal frinire delle cavallette, dai voli di farfalle e degli uccelli che cercano prede e semi. Siamo in presenza di una felice sintesi tra lavoro umano e risorse della natura…
Sopra: il primo sfalcio. Siamo in Valle Vogna e l’erba falciata – spesso operando su modeste superfici delimitate da tante particelle catastali – viene prima sparsa e lasciata seccare la sole dopo essere stata rivoltata. La sera il foraggio viene ammassato in cumuli che saranno nuovamente sparsi il giorno seguente. Se il tempo annuncia la pioggia molto spesso il foraggio subisce un ulteriore trattamento: esposto all’aria e al vento sulle balconate delle baite, finirà infine ai piani superiori delle tipiche costruzioni di pietra e di larice. In altri casi il fieno viene imballato utilizzando macchine adatte alla fienagione di montagna…
Tra macchine e rastrello...
Dalla fienagione tradizionale all’uso delle macchine– Sulle superfici più estese il lavoro è agevolato da macchine adatte alla difficile fienagione di montagna. I macchinari qui illustrati sono stati fotografati presso la Frazione Sant’Antonio. A sinistra una falciatrice, al centro un ranghinatore, a destra una piccola ma efficiente macchina in grado di confezionare rotoballe. Si tratta di attrezzi che possono essere azionati sui versanti meno ripidi per mezzo di stegole, in seguito per il trasporto delle fieno in cascina si utilizzano i trattori con pianali di carico. Insieme alle macchine la fienagione vede l’uso degli attrezzi tradizionali: nella foto a lato il signor Piero Carmellino è stato ritratto al lavoro nel prato di famiglia. Per raccontare, ricordare e riflettere sul destino di questi prati, si è concesso una pausa; un incontro piacevole e istruttivo, che proseguirà nel tempo. Più in alto l’utilizzo di macchinari diventa problematico, anche per la mancanza di agevoli piste. In Frazione Rabernardo (sede – tra l’altro- del Museo Etnografico organizzato dal Cavalier Carlo Locca di Guardabosone) si sono notati scampoli di coltivazioni e un prato falciato, con l’erba lasciata seccare al sole… Sul sentiero, un cartello informa sugli insediamenti della Frazione: distinta in tre nuclei, presenta baite, in parte ristrutturate, la cui costruzione avvenne tra il 1600 e il 1700.
Un fieno unico e prezioso – Come abbiamo visto, lo splendore dei prati delle valli alpine è dovuto al lavoro tenace e paziente di generazioni e generazioni. La fienagione – in montagna più che altrove – deve fare i conti con i capricci del tempo meteorologico, i mezzi impiegati devono adeguarsi a terreni difficili e a pendenze notevoli, il lavoro va eseguito spesso con strumenti manuali. In Val Vogna ho visto in funzione piccole imballatrici condotte a mano ed azionate da motocoltivatori e da altre macchine adatte alla natura del terreno, ma spesso per produrre il “foraggio di fiori” occorre utilizzare forche e rastrelli. Tutto ciò per ottenere un prodotto unico nel suo genere, da utilizzare con parsimonia nel corso dei lunghi inverni alpini. Per quanto riguarda la fienagione, lungo i percorsi per malghe, rifugi e alpeggi si possono leggere indicazioni esaurienti: gli alpigiani – ora come un tempo – “seguono l’erba”, spostandosi di pascolo in pascolo a mano a mano che questa cresce. Lo sfalcio e la trasformazione dell’erba in fieno risultano possibili fino ai circa 1400 metri, più in alto occorre rilevare che – salvo rare eccezioni – attualmente i prati e le radure sono utilizzati come pascolo. Mentre nelle frazioni abitate tutto l’anno si procede alla fienagione, a poche centinaia di metri più in alto, sui fianchi delle montagne si sciolgono gli ultimi nevai e, ancora nel pieno dell’estate, si possono esplorare le gallerie formate dalla slavine cadute nel corso del lungo inverno…
Dalla Val Vogna alle altre valli dell’Alta Valsesia – Dal fieno di qualità si ottengono prodotti unici nel loro genere, spesso destinati al consumo famigliare. La foto di Linda che, tra la neve, porta il fieno alle caprette rende giustizia a chi – spesso per passione – si dedica alla conservazione dei prati e dei pascoli (nota 1). Senza l’intervento umano i paesaggi fioriti cambierebbero nel breve volgere di una generazione e la montagna assumerebbe altri aspetti. Se è vero che al mondo tutto cambia, è altrettanto giusto sperare che ciò che natura e lavoro umano sono riusciti a creare nel corso dei secoli possa essere apprezzato e goduto anche dalle prossime generazioni.
Nota 1 – Il fieno che Linda porta alle caprette viene ancora fatto a Weng (1700 metri slm) – Informazione fornita da Enzio Giovanni insieme ad altre notizie interessanti che saranno riportate nei link collegati.
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Franco Gray (All’anagrafe: Franco Bertola)
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