La fitta rete di relazioni che intercorrono tra il mondo non vivente e il mondo vivente – nota come Catena Alimentare – è spesso rappresentata a forma di una piramide alla cui base troviamo le piante, seguono i consumatori e i predatori che sopravvivono cibandosi sia di vegetali che di animali. I carnivori stanno al vertice della piramide e sono definiti “superpredatori”. Si tratta di definizioni convenzionali, che tuttavia lasciano intuire un flusso di energia tra le varie componenti dell’ambiente: tra un passaggio e l’altro della catena alimentare si attua infatti una sorta di “decimazione”: in linea puramente teorica un organismo per crescere deve aver consumato una quantità di sostanze almeno dieci volte superiore all’incremento di massa raggiunto.
Terra, aria, acqua, luce e calore – L’immagine evoca concetti ben noti sui quali vale tuttavia la pena di dedicare un poco di attenzione: senza le piante capaci di sintetizzare sostanza organica la vita sul Pianeta sarebbe infatti ridotta a ben misera cosa. Il castagno qui raffigurato, utilizzando le sostanze disciolte nel terreno e la luce, produce i ricci gonfi di castagne: tra poco cadranno al suolo e troveranno chi ne usufruirà. Ciò che rimane finirà infine nella terra, dove verrà decomposto dai batteri, dai funghi e dai microrganismi. E nel tempo – come mostrano le immagini successive – tutto diventerà risorsa…
Piante verdi: i produttori che sostengono le altre forme di vita…
La materia senza vita viene trasformata dalle piante verdi: esse sono note come “organismi autotrofi” in quanto sono in grado di convertire le sostanze contenute nel terreno e nell’aria in steli, foglie, legno, fiori, frutti e semi.
È ben noto che le piante nascono, crescono, fruttificano e si riproducono grazie alla luce e al calore del sole: le radici trovano l’acqua e i sali minerali nella terra, il composto – detto linfa grezza – sale lungo il fusto fino alle foglie.
Le parti verdi delle piante catturano l’anidride carbonica presente nell’aria e – grazie al processo conosciuto come fotosintesi clorofilliana – trasformano la linfa grezza nelle sostanze nutritive che permettono agli organismi autotrofi di crescere e di riprodursi.
Consumatori: gli organismi che si nutrono di ciò che le piante producono…
Predatori: gli animali che si nutrono di consumatori…
Decompositori: gli organismi viventi che degradano le sostanze organiche…
Il suolo pullula di forme di vita: tra queste troviamo gli organismi che hanno il compito di aggredire le sostanze organiche e di trasformarle nuovamente in acqua e sali minerali che permetteranno alle piante di crescere; i resti del pasto degli animali, le loro deiezioni, le stesse parti morte delle piante diventeranno dunque una nuova risorsa…
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Una rete complessa di relazioni…
Lo stambecco – il consumatore – utilizza risorse ambientali derivanti da rapporti di collaborazione tra alghe e funghi. Il grosso mammifero, per arrivare alla primavera, si nutre dei provvidenziali licheni che crescono sui tronchi dei larici.
I licheni sono costituiti da alghe e funghi in stretto rapporto tra di loro. L’associazione è definita “simbiosi mutualistica”: le alghe infatti crescono grazie alla luce del sole attraverso il processo di fotosintesi. Nel caso sopra raffigurato, i licheni di cui si nutre lo stambecco vivono sui tronchi dei larici: i minuscoli funghi spingono i loro filamenti tra le fessure della corteccia e forniscono alle alghe l’acqua e le sostanze nutritive che esse sono in grado di elaborare. In questo modo entrambi gli organismi riescono a colonizzare anche le regioni fredde e inospitali delle montagne.
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Rapporti tra i viventi
Nell’analizzare il noto schema produttori – consumatori – predatori – decompositori scopriamo che i rapporti tra le piante, gli organismi che se ne nutrono e gli altri componenti del mondo vivente sono molto più complessi di quelli qui sintetizzati. Gli schemi tradizionali infatti sono spesso condizionati da punti di vista discutibili e mutevoli, per cui la loro analisi pone diversi interrogativi…
Lepidotteri: avidi consumatori o efficaci impollinatori?
Farfalla cavolaia in fase di ovideposizione – La cavolaia (Pieris brassicae) è qui ripresa mentre depone le proprie uova sulla pagina inferiore di un verbasco. L’insetto prima svolazza di foglia in foglia, poi si ferma ed espelle le uova, attaccandole ai peli della pianta ospite: queste sono raggruppate in masse sparse tra le varie foglie. In seguito – spesso invadendo coltivi e giardini fioriti – la farfalla volerà alla ricerca di nuove fonti di sostentamento per le larve che sgusceranno. Le Brassicacee restano le sue favorite: tra queste le note “crocifere”, ovvero le piante caratterizzate da fiori a quattro petali…
Dalle uova al bruco– Nella prima foto le uova della farfalla cavolaia sono state deposte su di una foglia di cavolo cappuccio: le larve che ne nascono aggrediscono immediatamente la pianta. Se le farfalle sono un elegante ornamento di prati e giardini, i bruchi che infestano gli orti o che defoliano gli alberi sono considerati alla stregua dei più micidiali parassiti…
Consumatori o parassiti?
La foto a lato mostra tre cavallette che divorano le foglie di un rovo. Gli insetti sono nati da poco, ma già stanno distruggendo l’arbusto che li nutre. Se ciò avvenisse su di una pianta coltivata il punto di vista antropocentrico collocherebbe la specie tra gli organismi parassiti. In questo caso però i rovi stanno invadendo una radura e il giudizio potrebbe essere ben diverso: questi insetti sono ancora definibili “parassiti” o potrebbero essere i “regolatori naturali della vegetazione”? O rimangono semplicemente i “consumatori primari” da collocare alla base della catena alimentare?
Farfafalle e altri preziosi impollinatori
Australia: il trifoglio sterile e i Bombi d’importazione – Cito a braccio il caso del trifoglio che – importato in Australia – non riusciva a riprodursi adeguatamente per mancanza di insetti capaci di impollinarlo. Quando i suoi impollinatori – i bombi europei – furono introdotti nel Continente Nuovissimo il problema scomparve…
In effetti il processo di impollinazione permette la formazione di semi fecondi e lo scambio di materiale genetico tra piante della stessa specie: in questo modo si ha una produzione diversificata di materiale riproduttivo. Nelle piante in cui si effettua la fecondazione incrociata il polline prodotto dalle antere (parte maschile del fiore) viene trasportato da vari agenti (insetti nella fecondazione entomofila) fino alla allo stigma (parte femminile) del fiore da impollinare.
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Predatori: i regolatori dell’ecosistema?
Nel mondo che vorremmo gli equilibri ambientali sono garantiti da una giusta proporzione tra i produttori, i consumatori e i loro predatori. Quando ciò avviene l’ecologia dice che un determinato ambiente è in climax: un giusto numero di predatori impedisce infatti ai consumatori di svilupparsi a dismisura e di distruggere – di conseguenza – le piante che li nutrono. La fase di climax è però un fenomeno circoscritto: gli equilibri che la caratterizzano sono destinati a mutare con i cambiamenti climatici, per l’arrivo di parassiti o per fatti accidentali, quali gli incendi…
Nel mondo reale prevale invece un concetto culturale di stampo utilitaristico: poiché i viventi interagiscono tra di loro con rapporti non sempre idilliaci, il giudizio umano tende a catalogarli in utili o dannosi, a seconda del ruolo che giocano nell’ambiente preso in esame.
Il bombo della foto è finito preda di un ragno: poiché il bombo è un ottimo impollinatore, il suo predatore dovrebbe necessariamente finire tra i “cattivi”?
Ce la caviamo praticando l’astensione del giudizio: nell’ambiente in cui vivono ognuno di essi svolge la propria funzione, e il piccolo ragno entrerà a sua volta nella catena alimentare quando, a dispetto delle sue capacità mimetiche, finirà nel becco di qualche uccello…
Il parassitismo: come funziona?
In biologia, quando i singoli organismi o i membri di una data popolazione crescono a dismisura e danneggiano l’ambiente che li mantiene vengono definiti “parassiti”. La definizione è culturale e di stampo utilitaristico, ma rende bene l’idea: parassiti sono tutti quegli organismi che fanno danno perché vivono a spese di un “ospite” che ne farebbe volentieri a meno…
Il Vischio: pianta portafortuna o pianta verde epifita e parassita?
Il vischio nel sentire comune è considerato una pianta portafortuna: il suo ciclo biologico ha affascinato intere civiltà. In realtà questa pianta – sebbene dotata di clorofilla – vive a spese di parecchie specie di alberi.
Gli organismi che – pur essendo in grado di elaborare la linfa grezza – sottraggono sostanze nutritive alle piante verdi sono detti emiparassiti.
Il caso del vischio è emblematico: è definito emiparassita perché – insediato tra i rami – penetra con i propri austori sotto la corteccia e sottrae linfa grezza, che provvede poi ad elaborare grazie alla clorofilla di cui è provvisto. Il vischio si insedia sugli alberi e si diffonde ad opera degli animali che si nutrono delle sue bacche trasportandole di pianta in pianta. Le bacche sono vischiose e si attaccano facilmente alla corteccia: quando poi i semi germinano insinuano gli austori nelle parti molli dell’albero parassitato e gli sottraggono parte della linfa.
La sua presenza non giova certo a chi lo ospita: i rami delle piante massicciamente colpite finiscono per disseccare.
Nella foto a fianco è ben visibile un pioppo che ospita diversi insediamenti di vischio. L’albero sembra ancora vigorso, ma la situazione potrebbe cambiare presto: i rami crescono infatti a fianco di una grande pianta disseccata e già schiantata al suolo proprio a causa delle infestazioni di vischio…
Il pioppo che cresce vigorosamente perché padrone incontrastato delle risorse del luogo potrebbe fare la stessa fine del suo vicino nel giro di qualche anno: infatti i grandi pioppi che ospitano numerose colonie di vischio perdono gradatamente di vigore. Quando poi – vista la debolezza della pianta – alla base del tronco e sui rami arrivano anche i funghi parassiti il destino degli alberi è segnato…
Piante senza clorofilla e altri parassiti
Parassiti – Le foto in alto mostrano anzitutto i fiori di Orobanche, una pianta priva di clorofilla. Di conseguenza deve necessariamente sottrarre sostanze nutritive agli alberi e lo fa direttamente dalle radici dell’ospite che le permette di vivere. Al centro il cerchio rosso evidenzia la presenza di una zecca che vive a spese di una femmina di ramarro. Infine – sotto una foglia di verbasco – troviamo degli afidi accuditi da una formica: i primi sottraggono sostanze nutritive dalla pianta su cui si sono insediati, la seconda utilizzerà la melata che essi secernono, ma non per questo potrà essere definita un parassita.
Predatori dei parassiti? Sì, ma…
Gli antagonisti dei parassiti – quando permettono di evitare trattamenti chimici o meccanici – sono i benvenuti: non a caso le coccinelle – note per la voracità con cui divorano gli afidi – sono diventate un simpatico simbolo della buona fortuna e di una agricoltura pulita. La coccinella dei sette punti svolge da sempre un efficace controllo dei cosiddetti “pidocchi delle piante”, sia allo stadio larvale che quando diventa adulta…
Viste le spiccate attitudini predatorie nei confronti degli afidi che infestano le piante, alla specie autoctona (la nota coccinella dai sette punti) nelle colture furono introdotte – con successo – altre specie di coccinelle d’importazione appositamente selezionate e allevate per combattere i parassiti. Secondo alcune fonti ciò metterebbe in pericolo la sopravvivenza stessa della ben nota e collaudata Coccinella septempunctata, visibile nella foto mentre fa strage di afidi…
A dispetto del catastrofismo e dei catastrofisti al momento continuo a rinvenire – spesso in spazi abbastanza angusti – varie specie di coccinelle: la densità delle diverse popolazioni varia con il variare delle condizioni ambientali e con le disponibilità alimentari. In primavera, ad esempio, le ben note Adalie sono numerose nelle siepi e depongono le uova nella pagina inferiore delle foglie, spesso vicino alle colonie degli afidi che – loro malgrado – forniranno nutrimento alle larve.
Anche in questo campo il discorso sulle “specie aliene” non può certo esaurirsi con alcune osservazioni su isole felici, ma va approfondito…
Sviluppi incontrollati di piante o animali venuti da lontano: che fare?
Le massicce invasioni di organismi venuti da lontano risalgono ai tempi delle prime scoperte geografiche con le merci che viaggiavano da un continente all’altro sui vascelli che attraversavano gli oceani. Tra i più noti e significativi conviene ricordare i parassiti venuti dal Nuovo Mondo sui velieri che, partiti dalle Americhe, ritornavano nel Vecchio Continente carichi di prodotti esotici.
Se nel viaggio di andata verso le terre nundum cognitae gli esploratori portavano armi e malattie, al ritorno traghettavano piante e animali sconosciuti, pronti a moltiplicarsi vertiginosamente e a fare danni perché nel nuovo ambiente non trovavano gli antagonisti capaci di rallentarne la crescita incontrollata.
Tra i flagelli importati dalle Americhe, meritano particolare attenzione i parassiti della vite: misero in crisi la viticoltura europea e ancora oggi obbligano a interventi un tempo sconosciuti. Il peggiore fu forse la Fillossera…
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Esempi ben noti e funesti di nuovi parassiti: la dorifora della patata e le lumache rosse
In America la dorifora (Leptinotarsa decemlineata) viveva allo stato selvatico senza fare grossi danni: i problemi sorsero con le coltivazioni intensive. Arrivata in Italia con la seconda guerra mondiale, si diffuse rapidamente. Nei campicelli a coltivazioni consociate in genere viene eliminata manualmente per evitare che gli insetticidi vadano a contaminare le colture ormai pronte per il consumo.
La comparsa delle voraci limacce rosse (molluschi del genere Arion) è invece abbastanza recente e, per quanto sia difficile seguirne gli spostamenti, di tanto in tanto si legge di zone felici non ancora colonizzate. In Bassa Valsesia la limaccia rossa crebbe in maniera esponenziale già dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso; ora è presente un po’ ovunque: l’ho notata – anche in forme ibride – persino negli ultimi campicelli del piano montano, insieme alle esche ad effetto neurotossico che dovrebbero avvelenarla…
Questi molluschi sono noti per la loro voracità: non è raro vederli cannibalizzare altre limacce, comprese quelle della loro stessa specie. L’immagine a fianco mostra un esemplare giovane che – in mancanza di verdure fresche – si nutre di germogli di ortica. A fianco un suo possibile predatore: un coleottero terricolo che di solito vive sotto i sassi e i tronchi morti. Poiché le limacce di giorno e nei periodi di siccità si rifugiano nello stesso ambiente, sarebbe interessante capire se i carabi, le scolopendre e gli altri piccoli predatori del sottobosco sono ormai in grado di contrastarne la crescita. Al momento nelle zone da me esplorate posso solo registare un incremento di limacce, ma non di millepiedi, di scolopendre o di coleotteri predatori.
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Senza nemici…
Il fenomeno degli organismi venuti da lontano e privi di antagonisti si è molto accentuato nel tempo: con l’aumento degli scambi, ovviamente aumentano anche i rischi…
In una precedente ricerca era stato affrontato il problema del Cinipede galligeno: un parassita arrivato dal lontano oriente che minaccia l’esistenza stessa dei castagneti…
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Cinipedi: riassunto
ll Cinipede galligeno (Dryocosmus kuriphilus Yatsumatsu) sfarfalla in estate e depone le proprie uova dentro le gemme del castagno. Le larve nella primavera successiva provocano la formazione delle galle visibili a lato: la pianta ne soffre e non produce più frutti, i suoi rapporti con i funghi simbionti si attenuano o si interrompono del tutto. L’insetto è arrivato in Italia dal Sol Levante con alcune piantine di castagno giapponese: privo di nemici naturali si è diffuso rapidamente. I suoi danni sono visibili dal piano basale alle quote in cui il castagneto cede il posto ad altre formazioni arboree.
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Il caso del Cinipede galligeno: problema risolto?
Il Cinipede e il Thorimus: un esempio di lotta biologica che funziona
Aggiornamenti su un parassita del castagno e sul suo antagonista
Il Cinipede galligeno è un Imenottero lungo solamente 2,5 millimetri, ma riesce a fare danni notevoli: i rigonfiamenti contenenti le larve diventano evidenti a maggio. Durante il ciclo biologico potrebbe intervenire però il Thorimus sinensis: è il suo antagonista. Anch’esso originario dai Paesi di provenienza del noto parassita, depone le uova all’interno delle galle che deturpano le foglie di castagno e le larve che ne escono attaccano quelle del Cinipede. La sua introduzione è stata provvidenziale…
Dopo l’allarme, un sospiro di sollievo. Dalle mie parti da almeno due anni a questa parte i castagni selvatici stanno riprendendo vigore: il Thorimus sinensis – introdotto artificialmente per contrastare il famigerato Cinipede – sta facendo un buon lavoro, ma gli è stata data una mano.
La mia esperienza in merito è basata sulla raccolta di galle secche e sulla loro diffusione. Non più di tre anni fa – dopo un inverno particolarmente duro – nella zona in cui il Thorimus era stato rilasciato molti castagni giacevano sradicati al suolo: ne apparofittai per raccogliere parecchi rametti con le galle che – a mio parere – avrebbero potuto contenere il Thorimus.
Ecco come e perché l’ho fatto, con alcune osservazioni:
– l’antagonista del cinipede – il Thorimus sinensis – dopo aver parassita la larva che si trova all’interno delle galle – rimane nel suo comodo rifugio fino alla primavera successiva;
– in primavera compie l’ultima metamorfosi, poi pensa a riprodursi a spese del cinipede;
Per favorie la diffusione del Thorimus trasportai parecchie galle nei pressi dei boschi di castagno infestati dai cinipedi (in linea d’aria a pochi chilometri di distanza) e le appesi ai rami dentro una reticella. Nessuno saprà mai se il trasporto sia stato provvidenziale o se invece il Thorimus sia arrivato da solo fino ai castagneti selvatici che ora stanno riprendendo vigore…
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Le specie antagoniste: una panacea?
Il Bosso, le Piralidi, le Vespe
Note introduttive sui bruchi parassiti del Bosso
Gli allarmi sulle siepi di bosso rosicchiate dai bruchi della Cydalima perspectalis – meglio nota come Piralide del Bosso – arrivano con il caldo e provengono – a macchia di leopardo – da gran parte dell’Europa insieme a documenti che mostrano piante ormai secche, o morenti.
La siepe ormai disseccata – come mostra l’immagine – era stata accuratamente potata. I germogli teneri e gran parte della corteccia sono stati completamente divorati dai bruchi della Cydalima perspectalis. Le larve si erano poi incrisalidate tra le foglie secche. Tra i rametti era presente una frafalla della nuova generazione…
La foto sotto mostra una piralide alla ricerca di siepi. L’autore precisa che il soggetto è stato fotografato su una rosa che cresce vicino a piante di bosso già attaccate dai bruchi nei due anni precedenti. Per evitare danni agli insetti utili e agli animali domestici aveva irrorato le foglie colpite utilizzando una soluzione di acqua e aglio. Con questo semplice rimedio l’azione distruttiva dei bruchi si era arrestata.
La piralide del bosso ha un ciclo biologico bivoltino, ma in condizioni favorevoli può arrivare a più di due generazioni all’anno. Passato l’inverno la crisalide sfarfalla e depone le uova sotto le foglie della pianta ospite, e più queste sono tenere… più saranno appetibili per le larve neonate: va da sé che le siepi potate e curate sono ben più gradite delle foglie coriacee del bosso selvatico o rinselvatichito. La presenza di larve all’inizio passa inosservata perché si sviluppano ben mimetizzate tra il verde ma, a mano a mano che i bruchi crescono, compaiono – qua e là – i segni della loro presenza. Anche nei giardini più curati ho notato piccole nicchie con sottili fili sericei e foglie in cattivo stato che denunciano la presenza di bruchi sfuggiti al controllo, però… insieme agli ingordi ospiti noto sempre – sia dalle mie parti che all’estero – un via vai di vespe nostrane che fanno di tutto per predarli.
Foto sotto: una delle vespe al lavoro. Si tratta di una comune e autoctona vespa del genere Polistes: evidentemente alcuni Imenotteri hanno ormai selezionato, tra le loro possibili prede, anche i bruchi della piralide. Questi però – nei loro primi stadi di sviluppo – sono ben protetti dalle foglie del bosso e dai sottili fili sericei che essi stessi tessono tra un rametto e l’altro.
Le vespe da me osservate hanno potuto compiere agevolmente la loro azione predatoria quando le piantine di bosso erano ormai in gran parte defogliate. Se nei giardini ben curati il loro intervento non risolve il problema alla radice, rimane da capire cosa succederà per i bossi selvatici che troviamo qua e là, lungo i sentieri, nei pressi di ruderi o tra gli incolti. Di conseguenza la ricerca continua…
Vai a Il bosso, la Cydalima e le vespe Un documento per riflettere… Una serie di foto e un testo di Angelina Iannarelli aiutano a riflettere sul rapporto tra esseri umani, animali e ambiente…
Scrive Angelina Iannarelli…
Coccole di mamma cerva
Vi mostro delle foto che risalgono alla primavera appena trascorsa. I protagonisti sono una mamma cerva e il suo cucciolo. Come tutti i cerbiatti, anche questo è stato partorito in un luogo riservato tra cespugli ed erba alta. La mamma lo ha tenuto nascosto per alcuni giorni nell’erba fitta, tornando da lui solo per allattarlo. Infatti, per non attirare i predatori, la mamma si tiene lontana da dove ha nascosto il piccolo e controlla il territorio a distanza. Questa cerva però è abituata a vivere nel paese e sa che il luogo più sicuro per il suo piccolo è proprio vicino alle abitazioni, meglio ancora dentro i giardini e gli orti recintati. Appena il cerbiatto le è sembrato abbastanza forte ha deciso quindi di portarlo dentro un bel prato tutto chiuso da un muretto, vicino le case del paese. Nelle foto si vedono mamma e piccolo percorrere il vialetto lungo la recinzione. La mamma lo accompagna vicino a una panchina per facilitargli il salto, lo tranquillizza e poi salta invitandolo a fare altrettanto. Ma il piccolo non riesce, proprio non capisce come fare. Dopo diversi tentativi la mamma torna giù, lo coccola ancora un po’ e poi lo riporta nell’erba, fuori dalla recinzione. Ma probabilmente è decisa a riprovarci perché dopo qualche giorno sono tornata e il piccolo era all’interno del prato insieme alla mamma e ad un altro cucciolo come lui.
Prime conclusioni
Se le foto e le osservazioni di Angelina Iannarelli documentano l’approccio di un grosso mammifero con l’ambiente antropizzato, la carrellata di osservazioni sui rapporti che intercorrono tra il mondo non-animato e i viventi mette in evidenza le definizioni culturali con cui le piante e gli animali vengono di solito catalogati. Utile o dannoso, innocuo o pericoloso, selvatico o domestico – di conseguenza – diventano definizioni di comodo, termini figli di teorie antropocentriche che vanno ri-meditate e ri-discusse. Il processo di organicazione con i rapporti tra esseri viventi e mondo inanimato, l‘esempio delle vespe che attaccano i bruchi che disseccheranno le stesse piante di cui si nutrono, le “esplosioni” di piante e animali privi di nemici naturali, la lotta biologica, l’arrivo di nuovi predatori e le strategie che le possibili prede mettono in atto portano verso altri articoli e invitano a nuove ricerche.
Franco Gray (all’anagrafe: Franco Bertola)
Pagine in costruzione
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